mercoledì 8 giugno 2016

Repubblica 8.6.16
Belahattin Demirtas, capo della principale formazione curda, il Partito democratico dei popoli,
“È Erdogan a volere lo scontro la Ue non abbandoni noi curdi”
I conservatori di ispirazione religiosa vogliono cancellare persino la memoria delle diversità etniche
Non si possono chiudere gli occhi di fronte ai massacri nelle nostre città per l’emergenza migranti
intervista di Marco Ansaldo

«Chiedo ai leader dei partiti turchi rappresentati in Parlamento: riuniamoci insieme, noi quattro, in un vertice che ha lo scopo di fermare il sangue che sta scorrendo nel nostro paese. Se a quel punto non riusciamo a risolvere il problema come vorremmo, allora dobbiamo dimetterci tutti». È un’altra giornata di sangue, rabbia e accuse, in Turchia. E Selahattin Demirtas, capo della principale formazione curda, il Partito democratico dei popoli, è teso e serio. Dopo l’ennesimo attentato a Istanbul, e la recente revoca dell’immunità parlamentare che colpisce soprattutto i deputati curdi, sul suo capo pendono 75 procedimenti, fra cui quello terribile di contiguità al terrorismo. Ma Demirtas non è affatto un capo guerrigliero, accusa che rigetta come tutti i suoi colleghi nell’Assemblea di Ankara, ma solo il leader di una compagine che raccoglie oltre il 10 per cento dei voti. E infatti il giovane avvocato esperto in diritti umani continua a essere il politico curdo più apprezzato dai cittadini democratici in Turchia, che ne stimano la chiarezza e la visione. Dicono che è lui, in realtà, il vero liberale nel paese, e lo considerano anzi l’oppositore principale di un capo dello Stato che bollano ormai come autocrate, come spiega lui stesso.
Selahattin Demirtas, il momento è tremendo a Istanbul e in Turchia. E le accuse contro i curdi, che pure soffrono una guerra nel loro territorio, stretti fra l’esercito e il Pkk, pure. Ma secondo lei, a che cosa punta realmente Erdogan?
«A eliminare i curdi. A togliere le diversità etniche che invece arricchiscono la Turchia».
Addirittura?
«Mi sembra chiaro. Vuole colpire la memoria curda. Non solo quindi il Pkk (il Partito dei lavoratori del Kurdistan, considerato fuorilegge in Turchia e in Europa, ndr), ma i sindacati, la società civile, tutte le rappresentanze politiche curde. Va fermato. Ma l’Ue lo lascia fare».
L’Europa però ha raggiunto un accordo faticoso con Ankara, che ora sembra dare frutti nel bloccare l’afflusso di migranti. Come si può pretendere adesso di bloccare questa intesa?
«Ho recentemente terminato un giro europeo che mi ha portato in Germania, in Norvegia e anche in Italia, a Milano, dove ho affrontato la questione dei cambiamenti in atto nelle zone curde. La Germania di Angela Merkel non deve chiudere gli occhi sui crimini di Erdogan, anche se si sente in difficoltà sugli immigrati. Così si rischia di lasciare campo libero ai progetti illiberali di Erdogan. Questo è un errore molto grave che l’Europa sta compiendo».
Lei che cosa propone?
«Di non abbassare lo sguardo sui massacri che avvengono ogni giorno nelle città curde, con l’esercito che proclama il coprifuoco e uccide i civili, fra cui molti bambini. Da voi manca del tutto l’informazione su questo. Allora, dovete tenere gli occhi aperti sullo stato della democrazia in Turchia. Perché stiamo scivolando verso la guerra civile».
La guerra civile?
«Sì, la situazione peggiora di giorno in giorno, e non c’è modo di uscirne per ora, nulla di positivo. Il governo dei conservatori di ispirazione religiosa non accetta alcuna soluzione sul processo di pace con i curdi».
Ma perché è saltato tutto? Solo pochi anni fa lo stesso Erdogan aveva spedito il suo capo dell’intelligence, Hakan Fidan, nell’isola-prigione dove è confinato il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, proprio per negoziare.
«Il processo di pace è stato una cosa positiva per Erdogan perché, per motivi elettorali, a quel tempo voleva i voti dei curdi. Ma le richieste del nostro popolo erano precise: fare la Costituzione civile, cacciare il fascismo imperante e arrivare alla piena democrazia. Erdogan invece punta a un nazionalismo islamico. Così si è accordato nuovamente con i militari e la guerra è ripresa, ancora più sanguinosa che nel passato, com’è evidente ora».
In Turchia lo stato dell’informazione non è certo splendente: i giornali continuano a chiudere. La gente conosce veramente quello che sta succedendo?
«Non sempre, purtroppo. I quotidiani favorevoli a una Turchia democratica soffrono, e in più i governi dell’Unione Europea sembrano compiacere Erdogan. I nostri leader politici si confrontano direttamente con il presidente, mentre da un punto di vista istituzionale non dovrebbero nemmeno dialogare con lui, bensì con il premier. Io ad esempio faccio così».
Lei ha speranze per il suo paese?
«Certo che ho speranze. Erdogan oggi è il più grande ostacolo alla pace. Però, non governerà per sempre».