Repubblica 8.6.16
Il cono d’ombra della nuova legge incombe non solo sul Pd
Sui ballottaggi lo spettro dispettoso dell’Italicum
di Stefano Folli
Il
tema della legge elettorale non è all’ordine del giorno nella Roma
politica che attende nervosa i ballottaggi del 19. Tuttavia la riforma
dell’Italicum, la questione più spinosa, incombe come uno spettro
dispettoso. Se ne mormora e se ne sussurra, non solo fra gli avversari
di Renzi nel Pd. L’argomento più ovvio è intuibile: se l’Italia scivola
un passo dopo l’altro verso i Cinque Stelle, l’Italicum rischia di
consegnare ai seguaci di Grillo le chiavi di Palazzo Chigi (e non è
casuale che costoro abbiano smesso da tempo di prendersela con il
sistema elettorale e attendano gli eventi con serenità sospetta).
Questo
argomento ha un punto debole. Dà per scontato che il M5S si stia
diffondendo a macchia d’olio, come sostiene Grillo, e sia l’unico
competitore del Pd renziano. Viceversa le analisi dei flussi elettorali
dell’Istituto Cattaneo raccontano una realtà diversa: i “grillini” hanno
preso in proporzione meno voti oggi rispetto al 2013. La loro
percentuale nazionale sarebbe di circa quattro punti al di sotto del 25
per cento di tre anni fa. Al contrario, il centrosinistra nel suo
complesso - quindi non il solo Pd - avrebbe guadagnato un punto e si
troverebbe al 34 per cento (il centrodestra è visto poco sotto il 30 per
cento, ma a condizione di essere unito). Ne deriva che non sarebbe
probabile oggi la vittoria dei Cinque Stelle nelle elezioni politiche e
la connessa conquista del premio di maggioranza. Obiezione a cui se ne
contrappone un’altra: se Virginia Raggi si affermasse a Roma, l’effetto
mediatico e psicologico di tale vittoria darebbe un impulso
straordinario alle ambizioni dei Cinque Stelle. Magari il carburante
durerebbe solo qualche mese, prima di esaurirsi con le prime delusioni
indotte dal Campidoglio “grillino”, ma in quell’arco di tempo eventuali
elezioni fatte con l’Ita-licum potrebbero premiare proprio il movimento
anti- sistema e cambiare lo scenario.
Ieri il costituzionalista
Stefano Ceccanti, vicino alle posizioni di Renzi, ha detto al sito
“Formiche” che l’-I-talicum esce rafforzato dal primo turno delle
comunali. La ragione? La fotografia molto frammentata e disomogenea del
voto, che ha bisogno di essere corretta attraverso la logica
maggioritaria. Ceccanti considera il ritorno al proporzionale la sola
vera alternativa all’Italicum e la esclude, a meno di non volersi
consegnare all’instabilità ovvero ai governi di “unità nazionale” di cui
parla Berlusconi.
Il premier tiene la stessa linea e ha rigettato
con forza l’ipotesi di consegnare il premio alla coalizione anziché
alla singola lista vincitrice: avrebbe, secondo lui, l’esito di
snaturare la legge senza alcun reale vantaggio. Esempio, l’alleanza del
Pd con i centristi di Verdini. Resta da spiegare tuttavia come si può
porre rimedio alla debolezza attuale del partito renziano, almeno in
base ai dati del primo turno amministrativo. Il punto è che nel sistema
tripolare, per quanto incerte e fragili siano le tre gambe del tavolo,
l’Italicum rischia il fallimento: c’è sempre la probabilità, per non
dire la certezza, che l’elettorato dei Cinque Stelle e quello della
destra si coalizzino nel ballottaggio contro il candidato premier del
centrosinistra. Sotto questo aspetto, vale la pena attendere il voto del
19 e verificare cosa accadrà, considerando che Salvini ha già indicato
di voler sostenere le candidate Cinque Stelle a Roma e a Torino.
C’è
poi da considerare che i critici dell’Italicum all’interno del Pd non
vogliono tornare al proporzionale. Vogliono invece, o almeno così
dichiarano, introdurre il doppio turno di collegio come in Francia. Così
da ristabilire il rapporto fra l’elettorato e l’eletto, togliendo
potere alle segreterie dei partiti (l’Italicum consente un numero
eccessivo di parlamentari scelti a tavolino). Va detto però che tale
soluzione non è mai stata accettata dal centrodestra berlusconiano. La
matassa, nemmeno a dirlo, rimane ingarbugliata. Per scioglierla bisogna
attendere l’autunno, quando saranno forse gli elettori a districarla. Il
nesso tra riforma costituzionale e sistema elettorale è più stretto che
mai.