Repubblica 7.6.16
Virginia e Chiara, le ragazze al potere
di Concita De Gregorio
VORREI
parlare di Virginia Raggi e Chiara Appendino. Due giovani donne nei
loro trent’anni molto votate domenica da elettori chiaramente esausti
dei giochi di prestigio e di parola di chi crede di poter continuare a
fare quello che gli conviene spacciandolo per una novità, un
cambiamento, oplà guardate, magari togliamo le insegne di partito
facciamo una bella campagna porta a porta e siamo come nuovi. Nulla
cambia, invece, nel profondo, e le persone lo sanno. Per quanto la
memoria sia labile, le conoscenze sempre più superficiali, l’attenzione
volatile le persone lo sanno perché lo vivono sulla loro pelle. Ricevo
moltissime lettere ogni giorno di ragazze che hanno la stessa età di
Chiara Appendino e Virginia Raggi, ragazze di 25, 30, 35 anni che
scrivono alla mail intitolata “cosapensanoleragazze”, un luogo dove si
ascolta. Ascoltare è una bellissima attività, non la fa più quasi
nessuno. Ieri per esempio da Ravenna, tra tante altre, ha scritto
Chiara: «Sono qui senza niente, a volte mi sembra di aver vissuto già
troppe vite per continuare a credere nel giusto. C’è una smagliatura in
questa rete che ci avvolge. Aspettiamo il Bianconiglio sapendo che non
arriverà». Una lettera molto lunga, magnifica e disperata.
Vorrei
mettermi nei panni, e che un momento almeno tutti ci mettessimo nei
panni, di una donna di trent’anni (o di quaranta, o persino di
cinquanta) a cui tutti dicono brava continua così ma quando è il momento
di scegliere a chi affidare un compito — una direzione, un
coordinamento, una responsabilità — passa sempre avanti qualcun altro,
in genere un uomo: perché fa parte di un sistema di amicizie e potere,
perché è più affidabile che spesso vuol dire ricattabile, perché sì,
tanto nessuno difenderà quella ragazza che non è nessuno (“chi la porta?
Di chi è?”) dunque non abbiamo niente da temere. Non perdiamo niente, a
lasciarla al margine di una strada: nessuno ce ne chiederà conto. E
invece sì, a un certo punto ecco il conto.
Questa non è una
perorazione del valore femminile, non abbiate paura. Non è neanche un
articolo militante: io vivo a Roma e questa non è una dichiarazione di
voto. Non sto facendo campagna, sto parlando di quello che vedo. Ci sono
donne e donne, come per gli uomini: persone. È piuttosto una
constatazione: le ragazze di trent’anni, ovunque nel mondo attorno a
noi, sono fuori dai giochi a meno che non siano “portate da”, “la donna
di”. Però poi un giorno si vota, e due ragazze di trent’anni prendono i
voti. Vi sembra strano? Se vi sembra strano è perché non vi siete
accorti che è cambiata la lingua, la geografia. Sembra la stessa di
prima, ma è un’altra. Le parole non significano più la stessa cosa. Se
parlassero inglese, questi marziani, queste marziane, sarebbero
riconoscibili. Invece parlano italiano, stanno nello stesso paese, sono
tutto attorno. Non le avete viste arrivare? È un problema vostro: se vi
foste messi in ascolto avreste sentito. Non avete visto neppure De
Magistris a Napoli e Zedda a Cagliari, per dire. Questa non è neppure
un’analisi politica. Non nel senso tradizionale, almeno. Non una di
quelle cose scritte per spiegare cosa è successo, che dopo sono bravi
tutti: caso mai sarebbe interessante scrivere e leggere cosa sta
succedendo prima che accada, o almeno mentre accade ma per far questo
bisogna essere liberi ed avere coraggio, non tutti ce l’hanno. Non tutti
possono per ragioni di opportunità politica, economica, editoriale e
questo è già il cuore del problema. Chi può farlo, questo, oggi,
davvero? Pochi. In luoghi periferici. In rete, in generale. Quella rete
smagliata che ci avvolge, e però vive. È viva.
Vorrei parlare di
Roma, tre minuti. Di un ragazzo che vive a Roma e si ricorda, se è stato
attento, che qualche mese fa Fabrizio Barca — un dirigente del Pd — ha
fatto una lunga e grande inchiesta sul Pd romano coinvolgendo centinaia
di volontari (i ragazzi, appunto) che ha concluso questo: un sistema di
potere corrotto, marcio, autoreferenziale, preoccupato del suo
microprivilegio, da azzerare. E poi? Cosa è successo dopo? Roma aveva il
suo marziano, incredibilmente veniva dal Pd. Un’opportunità arrivata in
regalo, centinaia di migliaia di persone avevano espresso quel voto. Il
partito lo poteva sostenere, aiutare a cambiare la città, dargli le
persone e le forze, il denaro che serviva a farlo. È successo questo?
Non è successo, con la complicità di tanti. È cambiato qualcosa nella
struttura del partito cittadino? La rete di potere economico, spesso
corrotto, che la governa è stata smantellata? Non dalla politica, di
certo. Quindi il futuro chi può essere, adesso? A chi si deve affidare,
di chi si deve fidare una persona libera, spaesata, incapace di
comprendere fino in fondo perché persone anche per bene, anche con una
biografia specchiata si mettono comunque al servizio di un sistema
imputridito.
Il voto utile non funziona più. Il male minore non è
un articolo di moda. Se persino gente disciplinata, cresciuta in un
altro tempo parlando un’altra lingua, non è riuscita a votare, domenica,
vecchi arnesi o volti gentili di un vecchio apparato: qualcosa è
davvero cambiato. Poggiate l’orecchio a terra, voi che parlate solo
senza ascoltare mai. Guardate i volti di queste due donne di trent’anni.
Parlo di Torino, ora. Ne sono reduce da poco: ho sentito dire «i cinque
stelle non hanno attecchito, qui. Fassino vincerà al primo turno». L’ho
sentito da dirigenti locali, a sinistra, anche notevoli. Come mai non
capiscono più niente? Forse non hanno visto che è nuova la lingua, e non
leggono la disperazione delle ragazze (e dei ragazzi) che prenderanno
il mondo, domani.
Chiara Appendino e Virginia Raggi sono donne
giovani, non erano nate quando governava la Dc e non hanno conosciuto il
Pci. Non hanno debiti, nessuno le ha favorite. Sono preparate,
laureate, competenti nei loro ambiti — una economista bocconiana,
l’altra avvocato con esperienza nelle nuove tecnologie. Sono ragazze
come quelle che vanno all’estero, qui non c’è posto. I posti sono tutti
occupati da vecchi ex sottosegretari presidenti e dirigenti di partito
che pensano ancora di poter piazzare i loro. Non è più vero. I volti
normali, la forza semplice di queste ragazze forse parla. A chi non ha
casa, e sono la maggioranza. Succede un po’ come quando il sindacato ha
smesso di rappresentare la gran parte dei lavoratori perché tutelava
solo i dipendenti e non i precari, i pensionandi e non gli inoccupati.
Così la politica che tutela se stessa.
Lasciatemi dire una cosa
sul fascino di una donna di trent’anni, chiunque essa sia: la vita è con
lei. Nascono i figli, Giorgia Meloni che viene da tutta un’altra storia
politica ha fatto campagna elettorale in gravidanza, ha avuto lei pure
moltissimi voti. La vita è davanti, e queste donne non possono non
pensarla. La incarnano. Raggi, Appendino. È più facile fidarsi di una
giovane donna che ti somiglia, che non ha che da perdere, proprio come
te. E che però ci prova. Ho sentito dire: quelle di Grillo somigliano a
una setta, sono come Scientology. Rispondono a un capo. Non lo so.
Magari invece no. Alle donne capita sovente di sentirsi dire: da chi
prendi ordini? A volte, succede, da nessuno. Per certo so invece che nel
vecchio sistema di potere — quello che ha fallito in passato e che è
ancora tutto qui sotto sempre più improbabili nuove insegne, con una
nuova protervia e una nuova camicia — tutti prendono ordini dai capi e
se sgarrano sono fuori. Fuori lista, fuori rosa.
Allora, se aveste
trent’anni (ma anche quaranta, e ad essere un po’ stanchi anche
cinquanta) non vi fidereste di due ragazze nuove, non ci provereste
almeno? L’alternativa, che un tempo si coltivava nel dissenso, è stata
spenta come un fastidio al manovratore. Persino i Rodotà sono stati
allontanati con diffidenza. Sarà interessante vedere, nel futuro
prossimo, chi siederà al posto di manovra. Chi tra gli strateghi avrà
pensato al futuro e non a sé. Chi avrà avuto ragione.