La Stampa 7.6.16
Virginia Raggi
“Non è finita,
completiamo l’opera”. Ritratto di una donna trasversale che esordì da
Previti, ha colpito Berlusconi, e stregato Ignazio Marino
Tra rom, migranti e Roma Nord parte la caccia ai voti-Meloni
di Jacopo Iacoboni
In
fondo già lo slogan, un maiuscolo RomaAiRomani, depurato da ogni
riferimento a braccia tese, non dovrebbe dispiacere agli elettori della
Meloni - con tutto che Giorgia, raccontano, non ha affatto in simpatia
Virginia, anzi (dato di cui tenere conto).
Ma che la Raggi adesso
cercherà di parlare ancora di più agli elettori della destra romana è
ovvio: la cosa interessante è il come.
«Non è finita», dice lei
ora. «Il 19 giugno bisognerà completare ciò che abbiamo iniziato, per
riscrivere insieme il futuro della nostra città». Virginia è un animale
politico interessante da tempo: come sempre, da molto prima che si
accendessero i riflettori su di lei, da prima che dicesse, come oggi,
cose tipo «ci tacciavano come antipolitica, la nostra invece è un’altra
politica». O che annunciasse (a Porta a Porta) «ci saranno anche degli
esterni in giunta». È una difficile da etichettare. Mescola mondi.
Avvocato di 37 anni, un figlio di sette, fa la pratica da Previti e
lavora nello studio dei fratelli Sammarco, mondo previtiano purissimo.
Ma poi allaccia un dialogo con ambienti della sinistra romana, le
occupazioni, la ex Lavanderia, i mercatini equo-solidali, le
biciclettate. È cresciuta nella classe media (San Giovanni), poi però da
grande è andata in periferia nord (Ottavia). Tifa Roma o Lazio? «Non mi
pronuncio»; in realtà è stata in tribuna all’OIimpico, quello di
Cragnotti, non di Totti, con la scusa che il tifoso era il marito,
Andrea Severini, regista radiofonico e braccio destro di Anna Pettinelli
a Rds (cioè mondo Montefusco, Balduina, romanord. anche se lievemente
spuria).
È piaciuta a Silvio Berlusconi, «gente a me amica me ne
ha parlato molto bene»; ma non tutti ricordano che Virginia fu a un
passo dal diventare assessore alla sicurezza della giunta di Ignazio
Marino (che tanto ingenuo evidentemente non era, così l’avrebbe
inglobata e depotenziata; solo dopo, litigarono). Avvenne nel giugno
2013, il marziano a Roma doveva puntellarsi, conobbe i grillini romani,
«per l’ottanta per cento avevano il mio stesso programma» e prese «la
più brava e la più severa» proponendole di fare l’assessore. Lei si
dichiarò disponibile, se ci fosse stato il voto della rete. La rete
votò. Disse sì. Intervenne poi Gianroberto Casaleggio (non Grillo): «Non
esiste che uno dei nostri vada in giunta con uno del Pd». Da quel
giorno Virginia è cambiata. Era una severa e anche con durezze
caratteriali, ma rispettosissima dell’assemblea dei cinque stelle:
diventò invece in un amen una preferita della Casaleggio, molto molto
ligia alle disposizioni di Milano.
Però Virginia è
inetichettabile. Piccolo inedito: quando La Stampa rivelò il “contratto”
(chiamiamolo così) firmato da Raggi che la obbligava a sottoporre le
decisioni strategiche al vaglio dello staff (era lo staff della
Casaleggio, in quel testo), molti la attaccarono ma lei - discreto
avvocato - era la prima a sapere che quel contratto giuridicamente non
vale niente. Così - siccome Roberta Lombardi, la ex faraona, sua
arcinemica, voleva commissariarla o condizionarla, preparandosi a dire
che Virginia non aveva rispettato il contratto che le impone lo staff - è
stata lei, la Raggi, a giocare d’anticipo: «Volete lo staff? Okay, lo
scelgo io». E ci ha messo dentro, oltre la Lombardi, gente a lei non
ostile. Insomma, sa fare politica.
Certo, nascose la cosa di
Previti; ma ne ha assorbito i contraccolpi minimizzandoli con sorriso
impassibile, tipica dote politica. Quando parla sembra un po’ in una
telenovela: come nell’appello finale nel confronto in televisione a Sky.
Ha flirtato a sinistra («azzeriamo il debito di Roma con le banche, e
rinegoziamolo»), ma ha pronte in queste due settimane due armi per
l’elettorato di destra. Sugli immigrati, su cui - come Tariq Ramadan
sull’Islam - modifica versione in base a chi ha davanti: da oggi,
vedrete, dirà cose come «non devono diventare una minaccia». Sui campi
rom (andò in radio e disse: «Semplificando si può dire ai rom “annate a
lavorà?” Sì»). Forse parlerà meno di funivie, e più di discese ardite e
risalite (alla Lucio Battisti). Di sicuro cercherà di introdurre il
baratto: ma quello politico, coi voti della Meloni che Salvini vorrebbe
darle, ma Giorgia paradossalmente no.