La Stampa 7.6.16
La democrazia anomala dei frammenti
di Marcello Sorgi
Le
elezioni amministrative rappresentano da sempre in Italia una sorta di
mid-term, un test per gli equilibri politici presenti e quelli futuri.
Fu così per le prime giunte di centrosinistra negli Anni Sessanta. E
così per la svolta del 1975, che portò i primi sindaci comunisti alla
guida delle grandi città fuori dal perimetro delle «regioni rosse»,
annunciando la svolta dei governi di unità nazionale ’76-’79.
E
ancora, con l’elezione diretta dei primi cittadini nel ’93, la
definitiva esclusione dei democristiani dai ballottaggi e la prima
legittimazione del bipolarismo, che doveva portare nel ’94 alla vittoria
del centrodestra con Berlusconi. Sepolto, non a caso, dopo quasi un
ventennio, dall’ondata dei sindaci arancione, da Pisapia a De Magistris,
che nel 2011 avrebbe anticipato di pochi mesi l’uscita da Palazzo Chigi
dell’ex-Cavaliere.
Con lo stesso criterio ci si potrebbe chiedere
se il voto di domenica scorsa nelle città, la vittoria della Raggi e
l’affermazione dell’Appendino e dei 5 Stelle a Roma e a Torino, il
risultato in bilico di Sala a Milano, la rivincita dello stesso De
Magistris nella Napoli in cui il premier era andato personalmente a
lanciargli il guanto di sfida, anticipino la crisi di Renzi e del
renzismo. Gli elementi per pensarlo ci sono, e lo stesso presidente del
Consiglio, a caldo, ha ammesso la delusione del Pd, sebbene non la
consideri decisiva per le sorti del governo. Né va dimenticato che si
tratta del primo turno di un’elezione che prevede i ballottaggi, e solo
allora, tra due settimane, si potrà fare una valutazione completa.
Al
momento la svolta - se di svolta si può parlare - non ha nessuna delle
caratteristiche che si erano palesate nel passato; non si sono insomma
manifestati un nuovo quadro politico e neppure, per quanto provvisorio,
un diverso equilibrio. Il successo, anche oltre ogni previsione, delle
candidate M5S a Roma e a Torino non va confuso con il risultato di De
Magistris (che è tutt’altra cosa, e già mescola, dopo cinque anni di
potere, aspetti di trasformismo e clientele locali con il voto di
protesta), e non basta a dire che si va verso un’Italia a 5 Stelle. La
resurrezione del centrodestra, a Milano con il tecnico Parisi, a Bologna
con la leghista Borgonzoni e a Napoli con l’usato sicuro Lettieri,
dimostra che la coalizione ex-berlusconiana ha ancora delle prospettive,
ma non risolve la sfida letale tra l’anima moderata del
leader-fondatore e quella radicale salvinian-meloniana. Al dunque,
l’unico vero obiettivo di Berlusconi era punire e far cadere la leader
ribelle di Fratelli d’Italia, e a Roma questo è accaduto, anche al
prezzo di una sorta di liquidazione dell’alleanza.
A conferma di
questo insieme così frammentato, le percentuali dei partiti, ricavate
finalmente ieri sera dopo un calcolo assai complicato, sono di una tale
modestia che la nuova carta politico-geografica dell’Italia rivela
sintomi di alopecia del potere locale assai difficili da curare e
impossibili da riunificare in qualcosa che abbia l’ambizione di tornare
ad essere di dimensione nazionale. Il Pd e Forza Italia, per dire del
maggior partito della coalizione di centrosinistra e dell’ex-maggiore
del centrodestra, si erano presentati con il loro simbolo in un’assoluta
minoranza di casi, per il resto si erano camuffati e mescolati a
un’indecifrabile ragnatela notabilare di piccolo cabotaggio. Temuto fin
dalla vigilia, il guazzabuglio delle liste locali - diffuse ovunque,
presenti in qualsiasi schieramento, con la sola eccezione del Movimento 5
Stelle, che dove si è presentato, non certo dappertutto, lo ha fatto da
solo - lascia già presagire cosa diventeranno, al termine dei
ballottaggi, le trattative per la formazione delle giunte, e subito dopo
le vite precarie delle amministrazioni, tenute in pugno da ras locali
che non hanno vincoli di appartenenza, né, figuriamoci, di obbedienza,
ad alcun partito o organizzazione, si nascondono sotto le sigle più
strane e rispondono, in realtà, solo a se stessi. I disgraziati elettori
che domenica, malgrado tutto, sono andati a votare, grazie alle
coalizioni locali che sostenevano i candidati sindaci, si sono trovati
di fronte all’esatto contrario delle più collaudate offerte
pubblicitarie dei supermercati. Lì, almeno, in certe stagioni, paghi una
e ricevi tre confezioni del prodotto che avevi scelto. Qui, invece,
votando un candidato sostenevi un intero schieramento e diventavi
sostenitore di certi arnesi che mai avresti voluto avere al tuo fianco.
La
crisi del Pd, che comunque, tolta Napoli, resta in gioco da Nord a Sud,
lo scatto delle due donne 5 Stelle (non accompagnato da un successo
complessivo, dato che alla fine il movimento andrà in ballottaggio in 20
comuni su 1300), e la rinascita isolata del centrodestra saranno pure
gli aspetti più evidenti dei risultati. Ma il vero profilo del Paese che
vien fuori dalle urne del 5 giugno è quello frastagliato appena
descritto. Sarebbe ora che qualcuno in Italia - a cominciare da Renzi e
almeno finché è possibile - s’impegnasse a pensare di riorganizzare dei
normali partiti, come quelli che finora sono stati distrutti, per
ricostruire una democrazia normale.