martedì 7 giugno 2016

Corriere 7.6.16
Se il voto cambia l’analisi sulla natura dei 5 stelle
di Massimo Franco

I risultati delle Amministrative di domenica hanno già prodotto un primo effetto: comincia a cambiare la percezione del Movimento 5 stelle. Può darsi che si tratti di un’operazione tattica e elettorale: magari con un occhio ai ballottaggi di alcune città dove i voti di Beppe Grillo fanno la differenza, vedi Milano. È un fatto che ieri, a sorpresa, una nota ufficiale e anonima di Forza Italia ha preso atto che «il M5S ha avuto una crescita politica, non solo numerica, importante. Non è più solo un fenomeno di protesta: è una realtà politica che merita rispetto e con la quale bisogna fare i conti».
Ha tutta l’aria di una risposta in tempo reale dopo l’affermazione di Virginia Raggi a Roma e del secondo posto di Chiara Appendino a Torino, che hanno chiesto analisi meno pregiudiziali sul loro movimento. La crisi del partito di Silvio Berlusconi permette questa interpretazione. Per il Pd, al contrario, cambiare ottica risulta più difficile. Oggi il M5S è il rivale giurato di Matteo Renzi. Gli contende pezzi d’elettorato e il primato in Campidoglio e, in prospettiva, nel Paese. Ammettere che oggi sia più di un contenitore della protesta significherebbe dargli un vantaggio che i Dem non si possono permettere.
Così, il Pd continua a martellare su Grillo. Renzi ribadisce che il voto di domenica è amministrativo. Mette al riparo il referendum costituzionale di ottobre, spiegando che «sarà tutta un’altra partita». E azzarda che «molti di quelli che hanno votato Beppe Grillo o Lega, al referendum voteranno per il “sì”. I parlamentari saranno per il “no”, perché se una poltrona su tre salta, non la vogliono mollare». Insomma, l’approccio è irridente, aggressivo. Per il premier, il M5S deve restare ai margini.
D’altronde, Grillo non lesina attacchi. «Il Pd sta scomparendo e FI è quasi un ricordo», sostiene. E il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, dice di avere visto un Renzi imbarazzato nei commenti sul voto. «La propaganda non funziona più. Invece di cambiare registro», è la tesi di Di Maio, «Renzi passa il tempo a vantarsi». È la conferma di una rivalità destinata a inasprirsi, anche perché il Pd rimane l’unica forza che può contrastare l’ascesa del M5S: sebbene non sembri in grado di fermarla come si pensava un anno fa.
Sarà interessante, piuttosto, vedere fino a che punto le candidature della Raggi e della Appendino inaugurino una fase più moderata, se si può definire così, della creatura di Grillo; e se preludano a un allargamento degli orizzonti elettorali e culturali del movimento, e a una strategia tesa a agganciare non solo i delusi della sinistra ma dello stesso centrodestra. È un tentativo che soprattutto nella capitale si profila come inevitabile. E l’apertura di credito di FI è un favore oggettivo al M5S.