Repubblica 7.6.16
Schemi saltati e confronti incerti ecco il tripolarismo imperfetto
di Ilvo Diamanti
Il
dato più chiaro del primo turno della consultazione amministrativa di
domenica scorsa è che, ormai, non c’è più nulla di chiaro. E di
prevedibile. Nel rapporto fra cittadini e politica. Fra elettori e
partiti. Così, l’esito delle elezioni è ancora aperto. Tra i 143 comuni
maggiori (oltre 15 mila abitanti) al voto domenica scorsa, infatti, 121
andranno al ballottaggio. Cioè, non tutti, ma quasi. Alle precedenti
elezioni erano molti di meno: 92. Questa tendenza appare evidente
soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale. Un tempo definite
“rosse”, perché politicamente di sinistra. Ebbene, fra i 19 comuni
maggiori al voto, in questa zona, quasi tutti (17) andranno al
ballottaggio. In primo luogo, Bologna. Dove il sindaco in carica,
Merola, si è avvicinato al 40% dei voti. E fra due settimane dovrà,
quindi, affrontare Lucia Borgonzoni, candidata leghista del
Centro-destra. Una prova sulla quale incombe, minaccioso, il precedente
del 1999, quando Giorgio Guazzaloca, del Centro-destra, prevalse su
Silvia Bartolini, di Centro-sinistra. Al ballottaggio. Nel complesso, i
candidati del Centro-sinistra vanno al ballottaggio in 88 comuni (sono
primi in 47), quelli di Centro-destra, della Lega o dei FdI in 69 (primi
in 38 Comuni). Infine, il M5s raggiunge il ballottaggio in 20 comuni (è
primo in 6). Questo rapido profilo quantitativo serve a chiarire una
ragione importante – se non la più importante – dell’incertezza che
pervade questa competizione amministrativa: la pluralità degli attori in
gioco. In altri termini, se per molti anni abbiamo inseguito un
bipolarismo senza preclusioni, senza fratture, Oltre l’anticomunismo e
il berlusconismo (o il suo contrario), oggi dobbiamo fare i conti con un
modello diverso. Sicuramente più aperto. Anzi: fin troppo. Siamo
entrati, infatti, in un sistema a “tripolarismo imperfetto”. Dove il
centrosinistra, imperniato sul PD(R), si oppone non solo al
Centro-destra, impostato sull’asse FI-Lega - allargato, in alcuni
contesti, ai FdI. Ma anche al M5s che ha ottenuto risultati importanti a
Roma, con Virginia Raggi e a Torino, con Chiara Appendino a Torino.
Mentre in alcuni casi, è sfidato da soggetti diversi ma, comunque,
alternativi ai due poli tradizionali. Come Luigi De Magistris, a Napoli.
Ciò rende il confronto complicato. Non solo nel primo turno, ma anche e
tanto più nei ballottaggi. Perché non è chiaro se e per chi voteranno
gli elettori dei partiti esclusi. Nello specifico: chi sceglieranno gli
elettori di Centrosinistra fra un candidato leghista, forzista o dei 5s?
Oppure, reciprocamente, chi sceglieranno gli elettori leghisti,
forzisti o del M5s nel caso il loro candidato di riferimento fosse, a
sua volta, escluso dal ballottaggio? In linea teorica, ove fosse rimasto
in gioco, sarebbe favorito il candidato del M5s. Perché a-ideologico.
Esterno alle fratture tradizionali. Visto che gli elettori del M5s sono,
politicamente, trasversali. Riassumono il disagio verso i partiti ma
anche la mobilitazione su temi “civici” e territoriali. Così, i loro
candidati possono venire utilizzati dagli altri elettori,“contro” gli
avversari storici. Post-berlusconiani, leghisti oppure renziani. A
seconda dei casi e delle esigenze.
È probabile, allora, che molti
elettori, nel dubbio, ricorrano al non-voto. Si astengano. Non per
scelta, ma per non-scelta. D’altronde, si tratta di un orientamento
diffuso, anche in questo caso. La partecipazione al voto, infatti, ha
superato il 60%. Cinque punti in meno rispetto alla precedente scadenza
elettorale. Tuttavia, non si è verificato il crollo temuto. Piuttosto, è
interessante osservare che l’affluenza – e parallelamente l’astensione –
elettorale ha colpito il Nord e le regioni rosse, più del Mezzogiorno.
Certo, il voto amministrativo, nel Sud, è condizionato – e incentivato –
da logiche particolaristiche. Ma è singolare che oggi, nel Centro-Nord,
la partecipazione elettorale sia calata molto più che nel Sud.
Ciò
sottolinea un’altra tendenza, emersa dopo le elezioni del 2013. La
perdita delle specificità territoriali. Meglio: la ”nazionalizzazione”
del voto. E dei partiti. Fino allo scorso decennio, infatti, gli
orientamenti politici ed elettorali riproducevano legami sociali e
territoriali di lungo periodo. Veicolati da partiti di massa, che
esprimevano ideologie di lunga durata e disponevano di organizzazioni
diffuse. I partiti di sinistra, in particolare, si imponevano nelle
regioni rosse del centro. Mentre al Nord erano più forti i partiti di
centrodestra e la Lega. Ma alle elezioni del 2013, per la prima volta,
si afferma un partito senza una specifica “vocazione” territoriale. Il
Movimento 5 Stelle, appunto. Primo oppure secondo in quasi tutte le
province italiane. Da Nord a Sud, passando per il Centro. Alle elezioni
europee del 2014, il PD di Renzi, il PdR ne riproduce la traccia. Primo
oppure secondo partito, dovunque. Inseguito dal M5s. E da un
centrodestra spaesato e diviso, dopo il declino di Berlusconi. Nume
tutelare e identitario. Così le diverse Italie politiche, oggi, si sono
omogeneizzate. La stessa Lega si è “nazionalizzata”. È la Ligue
Nationale di Salvini, alleata con i FdI di Giorgia Meloni. Guarda a Roma
e al Sud. Così, non c’è più religione. E non c’è più fedeltà. Non solo a
Bologna. Neppure a Torino. Dove le tradizioni operaie e industriali
hanno perduto rilievo. E la crisi economica incombe (come ha osservato
Piero Fassino). Mentre a Milano Sala e Parisi appaiono due candidati
allo specchio. Roma è, dunque, la capitale esemplare di questa Italia -
senza colori e con poche passioni. Dove ogni voto - politico, europeo,
amministrativo - diventa un’occasione im-prevedibile. E ogni elezione,
come ho già scritto, è “un salto nel voto”.