martedì 7 giugno 2016

Il Sole 7.6.16
Spazio a sinistra dei democratici sempre più ridotto
di Emilia Patta

Gli elettori delusi del Pd si rifugiano nell’astensione o vanno verso il M5s, come accaduto a Roma e a Torino. Questo primo turno delle comunali 2016 dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che in un’Italia ormai deideologizzata lo spazio per una sinistra extra-Pd di stampo tradizionale è estremamente ridotto. Non sono più i Cofferati o i Civati a determinare l’esito del voto per il Pd, bensì i grillini e i leghisti e il loro comportamento al ballottaggio. E questo, per la minoranza bersanian-cuperliana del partito, vuol dire solo una cosa: l’imperativo politico è restare dentro il Pd. Il punto è come restarci senza far affondare tutta la barca. Continuare nel tiro al bersaglio del leader quasi quotidiano non è possibile né costruttivo, ché se alla fine affonda la barca affonda tutto l’equipaggio. Fuor di metafora, non pare una buona strategia boicottare più o meno silenziosamente il referendum confermativo di ottobre sulla riforma del Senato e del Titolo V per scalzare Matteo Renzi da Largo del Nazareno. Costretti a stare insieme, gli esponenti della minoranza e quelli della maggioranza dovrebbero ripartire da altre basi.
Il premier e segretario del partito ha lanciato ieri, un po’ inusualmente per il suo carattere, alcuni segnali importanti: «Un problema partito c’è - ha ammesso - e nella prossima direzione sono pronto a dare qualche segnale». Oltre all’annunciato commissariamento del partito a Napoli, si parla di un rafforzamento della segreteria nazionale con l’inclusione di dirigenti non renziani per una gestione se non collegiale (non è un termine renziano) almeno più inclusiva e condivisa. Renzi ha poi fatto un’altra importante ammissione, quasi a prevenire le critiche dei suoi avversari interni: dove è stata tentata, l’alleanza con i verdiniani di Ala «non ha funzionato minimamente». Insomma anche i possibili alleati a destra, così come quelli a sinistra, hanno raccolto percentuali irrilevanti. Per di più il nome di Verdini sembra fatto apposta per far scappare gli elettori dem più di sinistra. E i voti perduti, molti nelle grandi città, non sono stati recuperati né al centro né a destra. Da parte sua la minoranza farebbe bene a cogliere queste prime aperture di Renzi. E a sciogliere presto la riserva sull’atteggiamento da tenere al referendum di ottobre schierandosi per il Sì, sia pure con le legittime riserve del caso sul merito. Mentre Renzi farebbe bene a coinvolgere di più la minoranza nella gestione del partito, perché una classe dirigente nuova in un partito come il Pd che ha migliaia di posti di responsabilità amministrativa in tutto il Paese non si costruisce in pochi mesi.
Detto questo, resta un problemino chiamato Italicum. La minoranza aspetta il risultato dei ballottaggi per tornare alla carica con la richiesta di modifiche, soprattutto quella di sostituire il premio alla lista con il premio alla coalizione nell’illusoria speranza di ricostruire il vecchio centrosinistra. Ma proprio i risultati della sinistra extra-Pd da una parte e dei verdiniani di Ala dall’altra stanno lì a dire che al Pd la coalizione non serve, e reintrodurla servirebbe solo a resuscitare il centrodestra vecchia maniera come accaduto a Milano. Dunque la «vocazione maggioritaria» di veltroniana memoria, citata anche ieri da Renzi, più che un ideale è ora una necessità. Anche su questo la minoranza farebbe bene a riflettere.