lunedì 6 giugno 2016

Repubblica 6.6.16
Renzi fa scattare l’allarme
“Se non siamo in corsa in 4 città per noi può cambiare tutto”
Il segretario del Partito democratico per ora esclude accordi con la sinistra radicale in vista del 19 giugno
di Goffredo De Marchis

ROMA. Per la prima volta, nella visione renziana delle cose, si affaccia una parola grave: «Preoccupazione». La pronuncia il premier-segretario seduto al tavolo della sua stanza a Largo del Nazareno, davanti allo stato maggiore del Pd, ovvero ai suoi fedelissimi. Sono tutti disorientati davanti alle proiezioni percentuali delle comunali. E spiazzati. Almeno quanto il loro leader che si era rigirato tra le mani gli exit poll riservati di Palazzo Chigi dove l’avanzata dei 5 stelle, o meglio lo sfondamento, non era affatto così evidente, anzi. Infatti Renzi si era un po’ agitato per i titoli dei siti d’informazione che anticipavano il successo grillino. Poi però il fantasma di un brutto risultato ha assunto contorni definiti.
Il Pd rischia dappertutto, può uscire dalla sfida di Roma, persino a Torino il sindaco uscente Piero Fassino viene avvicinato dalla candidata 5 stelle dimostrando che c’è qualcosa nel voto locale che investe anche lui, il premier, la sua strategia, il suo governo e può avere ripercussioni sul referendum di ottobre. «Se facciamo 4 ballottaggi su 5 è un risultato su cui si può lavorare», aveva detto prudentissimo Renzi appena chiusi i seggi. Ma adesso il quadro è molto più «allarmante», per usare un’altra definizione dello stesso Renzi. Tra l’altro, ancora un inedito, in quella stanza ci si confronta sulle strategie future tra le varie anime del renzismo. Va replicato lo schema Sala che a Milano ha corso con il vecchio centrosinistra arginando la rimonta del centrodestra unito oppure bisogna insistere sulla capacità di Renzi di muoversi a tutto campo, compreso quello della destra allo sfascio eliminando la possibilità di accordi a sinistra per il ballottaggio? Brutalmente, la questione è: con Verdini o con la vecchia formula ulivista?
Certo, il nemico è diverso dal passato. Non più Berlusconi, ma Beppe Grillo e i suoi candidati. E a Napoli, la capitale del Sud, il Pd in affanno rimane fermo al solito terzo posto. Giachetti è in bilico, ma a distanza siderale dalla Raggi, Fassino è chiamato a un ulteriore sforzo sotto pressione, la sinistra Pd è pronta ad azzannare il premier-segretario contestandone le scelte. I telefonini sono staccati, la play station con cui Renzi e Matteo Orfini fecero la partita propiziatoria prima delle regionali riposta nello scaffale dell’ufficio. C’è un’atmosfera pesante, a Largo del Nazareno. Parlano, davanti alle telecamere, soltanto Ettore Rosato e Lorenzo Guerini. Sono preoccupati e cauti anche loro. Per la narrazione renziana, dopo il 41 per cento delle Europee, perdere il
magic touch sarebbe una scoperta difficile da digerire. Da allora è il leader del consenso, quel dato elettorale del suo Pd gli ha offerto la spinta per portare a casa risultati del suo governo. Che succederà da domani? Renzi sta pensando a una nuova campagna elettorale per il ballottaggio più aggressiva della prima. Adesso il referendum passa in secondo piano. C’è il pericolo di una sconfitta pesantissima a Roma, anche Milano non è certa e Torino torna una partita aperta a vedere le proiezioni notturne. Per Renzi e il Pd sono numeri amari anche perché la convinzione profonda del premier, già dalle Europee, è che i grillini siano sopravvalutati nei sondaggi e molto al di sotto. Stavolta non è andata così.
L’idea di sedersi al tavolo con Sel e Sinistra italiana fa venire l’orticaria a Renzi. Ma potrebbe essere necessario o perlomeno utile un po’ dappertutto, da Bologna a Torino a Roma, nonostante i risultati minimi dei seguaci di Vendola. È la strategia della minoranza interna e questo non piace. Ieri al Nazareno si sono visti il bersaniano Nico Stumpo e Gianni Cuperlo. Già da oggi le strade e i progetti potrebbero dividersi.