Repubblica 6.6.16
Un messaggio per Palazzo Chigi
di Stefano Folli
INUTILE
attendersi conseguenze immediate e clamorose da questo voto nelle
città. Chi pensa che il risultato negativo al di là delle previsioni del
Pd renziano possa innescare gravi sussulti nella maggioranza o
addirittura avviare la messa in discussione del governo, è fuori strada.
Tuttavia
non accadrà nemmeno il contrario. Non si verificherà l’ipotesi
minimalista tanto cara a Palazzo Chigi: un’alzata di spalle e avanti
come se nulla fosse accaduto. Se la vedano i cittadini di Roma, Milano e
altrove con i loro sindaci. Questa forma di rimozione della realtà è
poco plausibile: è stata travolta dai dati trasmessi la notte scorsa e
si rivela un abbaglio. La verità è che il voto nei Comuni, anche quelli
di grandi dimensioni o addirittura nella Capitale, non è assimilabile a
un’elezione generale. Il fatto che fossero interessate oltre 13 milioni
di persone e che l’affluenza sia stata discreta con eccezioni negative
(62 per cento nazionale, male a Milano), non cambia il quadro.
NELLA
scelta degli italiani hanno pesato fattori diversi, come sempre quando
si vota per il governo locale, e sarebbe poco sensato trasformare la
giornata di ieri nel solito referendum pro o contro Renzi. La maturità
politica di un Paese si misura anche da come riesce a distinguere i
piani politici ed evita di farsi catturare da forme di frenesia
collettiva: il che riguarda soprattutto chi governa e chi interpreta
l’opposizione.
Questo è il primo aspetto del voto per i sindaci.
Tuttavia ce n’è un secondo che sarebbe grave sottovalutare. Pur con i
limiti e le peculiarità di cui si è detto, gli italiani hanno mandato
alla classe politica un messaggio netto e poco rassicurante. Il Pd deve
accettare una sconfitta a Napoli, dove la sua candidata resta esclusa
dal ballottaggio, e a Roma, dove Giachetti e la Meloni si sono contesi
all’ultimo voto il passaggio al secondo turno, peraltro molto lontani
dalla candidata dei Cinque Stelle, il cui dato è eccezionalmente alto.
Salvo un colpo di scena imprevedibile al ballottaggio, la Capitale avrà
un sindaco grillino. Per Renzi ci sarebbe l’esempio austriaco a cui
aggrapparsi, ma è poco verosimile che Giachetti o Giorgia Meloni
riescano a costruire una sorta di
union sacrée contro Virginia
Raggi come hanno realizzato gli austriaci ai danni di un personaggio
controverso quale il leader dell’estrema destra. In sostanza a Roma si
realizza la vendetta di un’opinione pubblica esasperata contro anni di
malgoverno. È qui lo scoglio che non si può aggirare e dal quale invece
si deve ripartire.
Quanto al resto, Milano resta una partita in
bilico: senza un vincitore e con Sala in leggero vantaggio su Parisi.
Può succedere di tutto. Invece a Torino Fassino vede materializzarsi il
suo fastidioso incubo: è in testa, è forte, ma non ha saputo assestare
il colpo del ko; mentre la grillina Appendino è indietro, ma non così
indietro da permettere una previsione certa fra due settimane.
Che
cosa si ricava da tutto questo? Gli elettori hanno punito il Pd a Roma,
ma si sono anche guardati dal premiarlo altrove. Il “partito di Renzi”
dovrà rinviare il suo esordio e del resto non era questa l’occasione. In
ogni caso è chiaro che nelle grandi città il Pd fatica e soffre. A
Roma, senza dubbio. Ma anche in altre zone di antico insediamento al
Nord e al Sud. Quel tanto di ottimismo e di speranza nel futuro che è
indispensabile per scegliere il partito di governo, si è rivelato un
sentimento troppo esile. È questo che deve preoccupare il presidente del
Consiglio in vista delle scadenze dei prossimi mesi. Il voto
anti-sistema, o comunque contrario a chi governa, si nutre di incertezze
economiche e sociali, di disoccupazione che non cala, di ripresa
stenta, di paure collettive quali l’immigrazione o l’insicurezza. Ogni
città ci aggiunge del suo, ma sarebbe poco saggio ignorare il disagio
diffuso. Che potrebbe riflettersi anche sul referendum costituzionale:
quello sì, come ormai tutti sanno, decisivo per le sorti del premier e
del suo progetto. Un tema buttato sul tavolo da Renzi troppo presto,
quasi a fare un dispetto agli elettori delle comunali.
Da oggi i
Cinque Stelle si caricano sulle spalle una responsabilità pesante. La
vittoria a Roma avrà un’eco internazionale. Di sicuro, se sarà
confermata fra quindici giorni, cambierà il volto e la fisionomia del
movimento che diventa il principale avversario di Renzi. Il gioco a tre
(centrosinistra, centrodestra, grillini) tende a diventare un duello.
Renzi contro Grillo, o meglio contro il nuovo gruppo dirigente, visto
che la Raggi sta vincendo, anzi trionfando, a Roma senza l’appoggio
asfissiante e quotidiano del leader.
E Berlusconi? Lo smacco di
Marchini è soprattutto il segno della decadenza dell’ex monarca di
Arcore che non è riuscito a impedire le divisioni del suo campo, pur
sapendo che al centrodestra unito non sarebbe sfuggito il secondo turno.
Peró a Napoli l’uomo di Forza Italia conquista il ballottaggio, sia
pure senza prospettive di vittoria. E c’è Milano. Il capoluogo lombardo è
per ora un grande alambicco che contiene ingredienti sconosciuti.
Bisogna aspettare il ballottaggio di Parisi, quanto meno. Consapevoli
che anche a Milano sarà sempre più difficile per Berlusconi farsi
ubbidire da Salvini (e dalla stessa Meloni su scala nazionale). Aprire
il laboratorio del nuovo centrodestra è indispensabile, ma chi ne sarà
il protagonista e quali saranno i comprimari è tutto da verificare.