lunedì 6 giugno 2016

Repubblica 6.6.16
Cile
Villette, prati curati ma un muro di silenzio sui crimini della setta di Schäfer
A Colonia Dignidad dove gli ex Ss torturavano i nemici di Pinochet
di Antonello Guerrera

VILLA BAVIERA (CILE). Ci sono le casette con i fiori rossi, i prati verdi, il fiume azzurro Perquilauquén, e poi la birreria, l’ombra docile dei viali alberati. Qui, nel piccolo paradiso di Villa Baviera, nel cuore del Cile, oggi non c’è niente che possa sussurrare il suo atroce passato. «Ci lasci in pace», sibila una donna chiara e dai capelli scuri. «Noi siamo le vittime, non i carnefici».
È una delle poche centinaia di anime che vivono nel villaggio: agricoltori, allevatori, parlano meglio il tedesco dello spagnolo. E custodiscono il peccato originale di Villa Baviera. Che da qualche anno si è aperta al turismo. Ma gli ultimi venti chilometri dei circa 400 dalla capitale Santiago non sono così invitanti: pini tenebrosi, corvi che beccano terra rossa,
campesinos
guardinghi. La strada è pietrosa, devastante per qualsiasi vettura cittadina. E all’ingresso della comunità, il nome “Villa Baviera” è scolpito su un’enorme pietra grigia.
Sembra una lapide.
Un tempo, questo posto si chiamava “Colonia Dignidad”. Ma qui la dignità l’ha divorata un sequel della banalità del male nazista. Oggi, quel cuore di tenebra è murato dal silenzio degli anziani.
Tutto è stato apparentemente rimosso. Colonia Dignidad nasce nel 1961. Ma il suo germe malato si annida anni prima nella Renania tedesca. Il padre fondatore è Paul Schäfer. A Santiago si presenta come benefattore di scuole e ospedali. Ma in patria è ex hitleriano, pedofilo, seguace di un’apocalittica setta cristiana (quella di William Branham), intersecando integralismo biblico e mire abominevoli. Schäfer, insieme al suo braccio destro, il dottor Hartmut Hopp, oggi uomo libero a Krefeld nonostante una condanna del Cile, lascia la Germania con un centinaio di seguaci. Tutti ipnotizzati dalla sua retorica e dalla favola della terra promessa.
Subito, il santone trasforma la Colonia in un regime di nichilismo nazista e sorveglianza sovietica: uomini e donne separati, bambini confiscati ai genitori per essere abusati serialmente da Schäfer, ribelli torturati. E poi la complicità con Pinochet e la Dina (la polizia politica del dittatore) che sfruttavano la Colonia come gulag per gli oppositori (molti dei quali tuttora desaparecidos), viscere di tunnel, arsenali di armi, progetti nucleari.
Wolfgang Kneese ha 71 anni, vive ad Amburgo e fu il primo, in una notte di mezza estate del 1966, a riuscire a fuggire da Colonia Dignidad, dopo due tentativi falliti. «Perciò Schäfer mi fece torturare, avevo la camicia così pregna di sangue che pensavo fosse parte della mia carne», racconta. «Mi recluse per oltre un anno, drogandomi per non farmi parlare. Sono scappato attraversando il fiume, con i cani che mi inseguivano. Mi hanno salvato i contadini cileni». Ma come aveva fatto Schäfer a plagiare così tante persone? «Aveva creato un regno pazzoide per cui tutti si sentivano eletti da Dio», sostiene Kneese, «e chi si opponeva meritava la dannazione eterna. Quasi tutti sapevano che Schäfer violentava i bambini. Ma facevano finta di niente. Perché con lui pensavano di essersi assicurati il Paradiso ».
E invece, l’inferno. Che Schäfer poté forgiare grazie a sostegni politici e militari. «Mentre quei sadici rabbiosi mi torturavano, lui era lì. Persino gli sgherri della Dina sembravano impauriti da Schäfer», confida Luis Peebles, 68 anni, psichiatra e oppositore politico di Pinochet, deportato a Colonia Dignidad nel 1975. «Mi hanno martoriato per giorni: percosse indicibili, scariche elettriche sui genitali, soffocamento. Gli abitanti della Colonia sapevano, ma erano plagiati».
“ Colonia”, il nuovo film di Florian Gallenberger con Emma Watson e Daniel Brühl che ha sconvolto la Berlinale (ora nelle sale italiane), accenna alle presunte complicità dei servizi segreti tedeschi, accusati dagli evasi dalla Colonia ora in Germania. Poco dopo Berlino ha desecretato faldoni di documenti. «Ma servirà a poco », dice Claudio Salinas, autore del libro Los amigos del Dr. Schäfer,
«perché mancano i documenti degli anni più importanti, quelli antecedenti al 1986. Mentre le vittime di Colonia Dignidad, o le loro famiglie, aspettano ancora un risarcimento».
«Ma a me non interessano i soldi », precisa Peebles. «Voglio solo che si arrivi al più presto alla verità ». Negli anni Duemila, quando il governo cileno è entrato nell’enclave dopo le ormai insostenibili testimonianze dei sopravvissuti, Peebles è tornato nel villaggio. «Gli sguardi dei coloni erano raggelanti. Ma ora stiamo provando a costruire insieme un memoriale a Villa Baviera». Schäfer, dopo una fuga in Argentina e una condanna a trent’anni nel 2006, è morto nel 2010, a 88 anni, in una gabbia cilena. Nel 2005, Peebles è riuscito finalmente a rincontrarlo, in tribunale: «L’ho guardato negli occhi. Gli ho chiesto: ‘Perché sei stato così crudele?’». E Schäfer? «Non rispose. Chiuse gli occhi. Disse che era un complotto. Fece una sceneggiata. Schäfer era un pagliaccio. Un pagliaccio diabolico».
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Una donna sibila: “Ci lasci in pace, noi siamo le vittime, non i carnefici” Tunnel e bunker e un agghiacciante arsenale. I servizi cileni sfruttavano questo posto come gulag