sabato 4 giugno 2016

Repubblica 4.6.16
Quei camaleonti che ammiccano all’anti-politica
Così si replicano i trucchi della vecchia classe dirigente
Le liste civiche sono il segno di un sistema che ha paura di se stesso e tenta di mimetizzarsi La storia insegna che cancellare le proprie radici non sempre porta fortuna
di Stefano Folli

IN ATTESA di capire se queste amministrative batteranno il record dell’astensionismo, c’è un altro primato che è già crollato. Mai nella storia elettorale dell’Italia repubblicana era stato presentato un numero così alto di liste civiche, in teoria sganciate dai partiti tradizionali ed espressione di movimenti locali, spontanei. Ma è bene intendersi subito: questa definizione è pura accademia. Le liste civiche del 2016 sono camaleontiche, servono a nascondere le vecchie sigle che dietro il fragile schermo continuano a prosperare e ad agire esattamente come prima.
Ci sono le eccezioni, è ovvio: vere liste civiche, soprattutto nei piccoli centri, che hanno poco da spartire con i partiti di cui rappresentano semmai la crisi. Ma basta guardare le cifre per capire invece che il fenomeno delle liste-camaleonte è imponente e rappresenta il segno di un sistema politico che ha paura di se stesso e tenta di mimetizzarsi con qualche goffaggine. Un semplice confronto: nel 1997 in 1418 comuni si presentarono davanti agli elettori 2117 liste civiche. Oggi in 1342 comuni le civiche sono circa il doppio di diciannove anni fa: 3910. E ancora: nel ‘97 in 458 comuni c’erano in campo solo liste civiche (quindi nessuna sigla partitica nazionale): la percentuale era pari al 32,3 per cento del totale. Oggi sono 875 i comuni dove si voterà solo per le civiche: il 67,2 per cento del numero totale.
Se fosse un fenomeno genuino, sarebbe quasi una rivoluzione. Ma la realtà è un po’ diversa. Tranne in casi specifici, i simboli partitici sbianchettati non bastano per concludere che i cittadini si siano riappropriati della loro rappresentanza. Significa invece che è in atto un fenomeno di trasformismo, con il tentativo di confondere le acque e di ammiccare ai sentimenti anti-politici più ovvii dell’elettorato. E allora più che di liste civiche si deve davvero parlare di liste-camaleonte. Chi è scettico può osservare un altro dato: Forza Italia è presente con il suo simbolo solo nel 6,7 per cento dei comuni in cui si vota; il Pd lo è nel 11,6 per cento. È come se ci si vergognasse della propria storia e della propria identità. E se questo è forse comprensibile per il partito di Berlusconi, la cui vicenda più che ventennale sembra volgere al termine, almeno nella forma vista fin qui, lo è assai meno per il Pd, il partito di Renzi.
Il premier usa spesso argomenti mutuati dal lessico dei “grillini” (specie in relazione alla cosiddetta “casta”) per tagliare l’erba sotto i piedi del M5S. Con quale successo, lo vedremo nello scrutinio fra domenica e lunedì. Ma la storia insegna che cancellare le proprie radici, in nome di una generica nuova “verginità” politica, non sempre porta fortuna.
Le liste-camaleonte sotto questo aspetto - ed escludendo quelle che lo sono realmente - coincidono soprattutto con un gesto che denota inquietudine, un pizzico di codardia e scarsa fiducia in se stessi, sia che si tratti di iniziative nate a destra sia che l’operazione venga da sinistra. Se poi la ragione è un’altra, ossia la necessità di combattere l’astensionismo offrendo all’elettore una novità sia pure fittizia, il rimedio potrebbe essere peggiore del male. Al termine di una campagna inutile e noiosa, molto al di sotto degli standard minimi soprattutto nella Capitale, ma anche altrove, la presenza di esponenti politici di primo piano, ben collaudati, avrebbe mobilitato l’opinione pubblica e magari risvegliato un pizzico di passione politica. Viceversa nulla o quasi ha increspato la superficie dello stagno.
È qui che l’astensionismo trae il proprio nutrimento: dall’irrilevanza di una politica spesso lontana dal cittadino. Una politica che si scaglia contro il populismo, ma poi lo imita nei comportamenti pratici, con risultati abnormi. Le finte liste civiche richiamano le peggiori manovre di palazzo e quel che è peggio il trucco si vede subito. È amaro concludere la campagna elettorale con queste considerazioni. Ma è il segno che non c’è molto altro da raccontare.