sabato 4 giugno 2016

Repubblica 4.6.16
Saviano denuncia: “Le liste civiche sono la sconfitta delle istituzioni”
Lo scrittore a dieci anni dallo shock di “Gomorra”. “Ci sono stati tanti arresti di camorristi, ma al Sud non è nata una classe dirigente alternativa. Lo Stato non ha fatto ancora abbastanza”
di Carmelo Lopapa

ROMA. «La politica ha abbandonato interi pezzi del Paese. Il proliferare di liste civiche ne è la testimonianza». E’ l’analisi spietata che Roberto Saviano fa dialogando con il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, nella prima giornata della “Repubblica delle Idee”.
L’accusa dell’autore di “Gomorra” è netta. A poche ore dal voto nelle principali città del Paese, avverte: «Si consente così a figure e settori della criminalità di partecipare direttamente al voto senza che i partiti se ne facciano carico». Il direttore Calabresi snocciola gli indizi del boom. «Forza Italia si presenta solo nel 7 per cento dei comuni in cui si vota, il Pd nel 12-13 per cento, in tutti gli altri comuni campo libero alle liste civiche». La lettura che dà Saviano ha le tinte fosche dell’infiltrazione criminale: «E’ il chiaro segnale dello Stato che molla, quasi terrorizzato. E’ uno schermo che viene regalato alla “chiavica”, agli affari, al voto di scambio. Quando un consigliere o un amministratore verrà incastrato per corruzione o proprio per voto di scambio, i partiti non se ne faranno carico ». Le liste civiche, insoma, costituiscono le “porte d’accesso” del malaffare, quando non delle cosche, soprattutto al Sud ma non solo. «E’ la fuga della politica e al contempo la paura di metterci la faccia», conclude Calabresi. Ed è proprio la denuncia fatta in questi giorni dalla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi.
Dieci anni di guerra alla Camorra, dieci anni che hanno generato un’inedita consapevolezza dell’Italia “criminale” che occupa un pezzo di Paese, dei suoi rapporti con l’imprenditoria e il suo farsi politica. Frutto e merito anche di “Gomorra” e del suo successo planetario. «Ma al Sud - è il monito dello scrittore - non è nata una classe dirigente alternativa, una nuova generazione di imprenditori puliti, lo Stato non ha fatto abbastanza ». Il bilancio che Saviano traccia alla “Repubblica delle Idee”, che ha preso il via ieri sera a Roma nel complesso del Maxxi, dopo questi dieci anni dalla pubblicazione di Gomorra, è fatto in chiaro scuro. Ecco, è un’Italia, oltre che una Campania, migliore o peggiore, chiede Calabresi. «Tanto è stato fatto, si pensi solo alle centinaia di arresti di questi anni, sembrava d’improvviso guardando i tg che si arrestassero solo casalesi, ma quanti erano? In alcuni casi sono state cancellate intere generazioni di imprenditori collusi, legati alle realtà criminale. Altri giovani però andavano aiutati, avrebbero meritato la fiducia delle banche per potersi fare avanti e costruire qualcosa di pulito. Così non è stato», ammette lo scrittore.
Alla vigilia delle amministrative che coinvolgono tredici milioni di elettori, quindi, Saviano accende ancora una volta il suo faro. E lo concentra, appunto sulle liste civiche. Mai come questa volta i simboli dei partiti, anche quelli tradizionali, si sono rarefatti nei comuni. In particolare in quelli più piccoli. E l’assenza dei partiti favorisce la presenza del malaffare e della deresponsabilizzazione della politica.
Il confronto sui dieci anni da “Gomorra” fa presto a virare dal libro da dieci milioni di copie e traduzione in 52 paesi al successo della serie tv con la scia di polemiche di questi giorni. E il dibattito che proprio su
Repubblica ha trovato spazio, da Ilda Boccassini a Raffaele Cantone tra gli altri, sul male che sembra trionfare, unico motore e unico fine. «Il male crea sempre un suo fascino - spiega Saviano - Ma attenzione: se tu decidi di fare il criminale dopo aver visto Gomorra è perché vivi in un contesto criminale e quella rappresentazione ti identifica. Io molto semplicemente non mi pongo la questione, non mi importa che non ci sia un giusto e che la polizia appaia solo marginalmente. Il mio problema è stato solo costringere il lettore a guardare il mondo con gli occhi di questi criminali, dal loro punto di vista. Dimostrare quanto la loro vita faccia schifo, come ad arricchirsi sia solo il “sistema” e non loro perché la loro vita è breve, finiscono sempre male. Per me raccontare il male non è diffondere il male. La polemica mi ricorda quella esplosa dopo il successo di Goethe e del suo “I dolori del giovane Werther”. Lo accusarano di aver incrementato i suicidi, quando lui invece aveva denunciato un disagio e un malessere vero e diffuso tra i giovani del suo tempo. Mi posso far carico di una responsabilità artistica, non certo etica».