Repubblica 4.6.16
Il regista Atom Egoyan: “Ammettere la complicità svela le menzogne della Storia”
“Il coraggio di Berlino aiuta a cancellare l’oblìo del mio popolo”
intervista di Arianna Finos
«DOPO
la condanna tedesca il governo turco non potrà continuare a negare il
genocidio armeno. Perciò aspetto con ansia il prossimo passo». Il
regista Atom Egoyan, canadese di origine armena, si batte da sempre per
mantenere viva la memoria dell’eccidio, che ha anche raccontato nel
pluripremiato Ararat.
Cosa pensa della decisione del Bundestag?
«La
Germania ha dato prova di grande autorità morale, con un altro esempio
straordinario di come ha saputo riconciliarsi con un capitolo oscuro del
proprio passato. È stata alleata dell’Impero Ottomano e c’è una forte
evidenza della sua consapevolezza, della complicità nel Genocidio
Armeno. Che fu una sorta di prova generale di Olocausto: i tedeschi
impararono dai turchi come sotto la copertura della guerra si potesse
perpetrare un crimine come quello».
Perché la decisione è arrivata proprio ora?
«Non
l’avrei immaginato, infatti. Ho letto libri, visto documentari
tedeschi, so che nel paese si discuteva. Ma è stato molto coraggioso
farlo in un momento tanto delicato, e senza trarne vantaggi, anzi. La
Germania ha bisogno più che mai, con l’emergenza immigrazione, di avere
un buon rapporto con la Turchia. Ma ha vinto il desiderio morale di
riconoscere i propri errori».
Che significa per gli armeni, per lei?
«È
un grande momento. Anche se non sentiamo più, come un tempo, che il
nostro è stato un genocidio dimenticato, dopo il riconoscimento dello
scorso anno e la dichiarazione di papa Francesco. Resta la tristezza per
tutti gli armeni morti pensando che il loro dramma era stato negato e
dimenticato. In troppi hanno creduto di morire sepolti nell’oblio».
La sua vita e il suo cinema sono influenzati dal trauma del genocidio.
«Aver
subito uno sterminio di massa è qualcosa che ti accompagna per sempre.
Un trauma che, ancor più se negato, si tramanda attraverso le
generazioni. Ma se siamo arrivati al traguardo di oggi è anche grazie
all’impegno di intellettuali e artisti armeni che hanno tenuto viva la
memoria anche quando il mondo sembrava indifferente. Non c’è un altro
evento di questa portata che sia ancora negato: l’Unione sovietica ha
ammesso i crimini di Stalin, i giapponesi affrontano il massacro di
Nanchino. La decisione tedesca consegna una lezione fondamentale».
Quale?
«Che
anche se chi ha perpetrato un crimine continua a negarlo, esiste la
possibilità di un riconoscimento internazionale. E che se si insiste nel
rifiutare la menzogna, le cose possono cambiare. Oggi viviamo in una
comunità globale in cui ciascuno è responsabile anche delle azioni, e
trasgressioni, degli altri. I miei film hanno sempre affrontato il tema
della verità: bisogna fare i conti con il passato, anche il più crudele.
Nascondendolo, è la nostra umanità a venire distrutta».
Il governo turco ha reagito con durezza.
«Era
prevedibile. Non si vuole credere di essere stati capaci di tali
orrori. Ma è assurdo continuare a dipingersi come vittime delle menzogne
dell’Occidente. Va anche detto con chiarezza che ogni popolo si può
rivelare capace di azioni come queste, tutti dobbiamo restare in
guardia. Per anni noi canadesi abbiamo creduto di essere stati più umani
e giusti degli Usa verso i nativi. Poi abbiamo scoperto che non era
così, e abbiamo affrontato le conseguenze di questa terribile verità».
In Turchia qualcosa sta cambiando...
«Ci
sono associazioni, ma anche individui coraggiosi che non vogliono più
chiudere gli occhi. La scorsa estate ero in Turchia e sono rimasto
impressionato dal cambiamento: fino a dieci anni fa la questione non
sarebbe stata nemmeno affrontabile».
Con chi avrebbe voluto condividere questo giorno?
«Con
mia nonna. È stata un’orfana del genocidio. La canzone principale del
film Ararat si chiama Yeraz, “sogno” ed era dedicata a lei. Volevo che
lei, ovunque fosse, potesse vedere dove siamo arrivati oggi. Da
ragazzina, dopo il “grande trauma”, non sapeva nemmeno dove fosse nata e
chi fossero i suoi genitori. Ecco, mi piacerebbe che ora sapesse che la
sua storia è ancora viva».