La Stampa 4.6.16
Bonino: “I turchi non romperanno con Berlino perché cercano altre concessioni”
“Il presidente non vuole guai con l’Europa. Gli serve per avere il via libera alle sue riforme”
intervista di Francesca Schianchi
«Erdogan
può anche sputare fuoco e fiamme contro la Germania, ma la sua priorità
in politica interna è la riforma presidenziale che gli darebbe pieni
poteri. E per ottenerla senza avere reazioni dall’Europa, è pronto a
continuare a tenere sotto controllo il flusso dei migranti nell’Egeo».
Lei crede, Emma Bonino? Nessuna ripercussione dopo il riconoscimento
tedesco del genocidio armeno?
«Da radicale conosco bene la questione del
genocidio armeno. Ventinove Paesi l’hanno già riconosciuto –
dall’Italia alla Russia alla Francia - e ogni volta i turchi hanno
protestato, senza mai rompere i rapporti diplomatici. Anche stavolta non
hanno ritirato l’ambasciatore, ma solo richiamato per
consultazioni».
Eppure i toni sono stati duri: tutto fumo?
«La retorica
di Erdogan la conosciamo, è sempre stato sopra le righe. Ma nella
sostanza ha tutt’altro per la testa».
La riforma presidenziale?
«In
politica estera, la questione curda. E in politica interna, la riforma
presidenziale: è la sua priorità, a ogni costo. A costo di togliere
l’immunità parlamentare all’opposizione interna – sperando così di
arrestarne una parte, abbassare la soglia dei votanti e raggiungere i
due terzi di voti richiesti per cambiare la Costituzione - e a costo di
tenersi i migranti, pur di non avere reazioni dall’Unione europea. Penso
abbia anche messo in conto di non riuscire a ottenere a breve la
liberalizzazione dei visti».
Sta parlando dell’accordo Ue-Turchia sulla
gestione dei migranti: lo sa che ieri Amnesty International l’ha
definito «sconsiderato e illegale»?
«Ha ragione. Siamo così supplicanti
che non vogliamo nemmeno sapere cosa ne fa la Turchia di questi
migranti. E chiudiamo gli occhi sull’involuzione autoritaria in corso
nel Paese. Una specie di patto tacito e diabolico per cui in cambio del
blocco dei migranti si è silenti su quel che succede in Turchia».
Tipo
pressioni sui giudici e giornalisti incarcerati...
«È giustissimo
riconoscere il genocidio armeno, ma non vorrei che fosse un modo per non
guardare il presente».
Perché secondo lei la Turchia non riesce ad
ammettere le sue colpe sul genocidio armeno?
«La Turchia aveva istituito
una commissione mista di storici sull’argomento, poi la deriva di
Erdogan ha preso tutta un’altra strada, riportando in auge un impulso
nazionalista in realtà mai scomparso ma in qualche fase sopito».
Eppure
c’è stata una fase in cui la Turchia sembrava davvero poter entrare in
Europa. Anche lei ci ha creduto, vero?
«Nel 2004-05, una grande apertura
alla Turchia era veramente possibile. Fu l’Europa a sbagliare, quando,
dopo l’apertura dei negoziati, i capi di Stato e governo, soprattutto
Merkel e Sarkozy, dissero no e proposero una “special partnership”».
C’è
chi pensa che il rifiuto europeo abbia spinto la Turchia verso
un’involuzione: è d’accordo?
«Sono intervenuti molti altri fattori, dal
boom economico all’arroganza e il senso di sé, ma certo non mantenere la
parola ci ha reso partner poco credibili».
Con la sua visita in
Somalia, unico leader non africano da decenni, Erdogan prova a
ritagliarsi un ruolo da leader mediorientale?
«Il tentativo l’ha già
fatto: pensi a quando andò in Egitto ai tempi delle primavere arabe a
proporsi come modello. Ma ha fallito, passando in politica estera da
“nessun problema coi vicini” a un sacco di problemi con vicini e
lontani, come la Russia. Se ora cerca alleati in Somalia, gli si può
solo fare gli auguri».
Come dovremmo rapportarci con la
Turchia?
«Ammesso che l’accordo sciagurato e sbilanciato che abbiamo
stretto funzioni, quando ci si pone come supplicanti in ginocchio si
perde qualunque leva politica: Erdogan continuerà a usare i migranti
come un rubinetto che apre e chiude. Dovremmo arrenderci al fatto che
sono inutili i muri e pensare a una politica di integrazione».
Ha perso
le speranze che la Turchia possa entrare un giorno in Europa?
«Niente è
più fragile della politica: una dittatura un giorno può esserci e il
giorno dopo no. Mentre la geografia è più stabile. Ma avere una
posizione più rigorosa oggi, sarebbe un buon presupposto per una
possibile svolta turca che nessuno può escludere».