sabato 4 giugno 2016

Il Sole 4.6.16
Il genocidio degli Armeni
Il Bundestag e il primato democratico sulla diplomazia
di Montesquieu

Il voto del parlamento tedesco sul “genocidio” degli armeni suggerisce alcune riflessioni di tipo istituzionale. La politica estera dei singoli stati , e nel suo insieme la politica internazionale, propongono in misura del tutto particolare il tema del rapporto tra principi ed interessi , tra ideali e convenienze.
La prima riporta a un aspetto fondamentale di tutte le democrazie di tipo parlamentare: quel voto esalta in modo esemplare l’autonomia del parlamento tedesco rispetto al governo, e anche la supremazia delle decisioni del potere legislativo su quello governativo. E quindi attesta, in un ideale check up democratico, la buona salute della separazione dei poteri in quell’ordinamento. Se è vero che le decisioni di politica estera spettano in via ordinaria ai governi, l’intervento delle camere delimita in modo dirimente il campo d’azione dell’esecutivo . Per intenderci , oggi il governo federale tedesco non potrebbe pronunciarsi in termini negativi rispetto all’ipotesi del “genocidio”, nemmeno per derubricarlo al livello del meno insopportabile, per le stesse autorità turche, concetto di “sterminio”. La differenza tra i due termini sta nella finalità di cancellazione di un popolo, insita nell’idea di genocidio, ma non necessariamente presente in quella di sterminio. La seconda riflessione riguarda la difficile relazione tra princìpi e interessi, tra ideali e convenienze: relazione spesso difficile, nei rapporti tra stati, perché esposta a ritorsioni soprattutto di tipo economico. Non è difficile attribuire alla totale assenza della cancelliera Merkel dal dibattito parlamentare la volontà di salvaguardia dell’intreccio di interessi politici ed economici che legano alla Turchia la Germania e l’Unione europea, soprattutto in questo momento. Come dire: i genocìdi non sono da condannarsi in sé , ma in relazione alla capacità ritorsiva dello Stato responsabile. E , quanto a capacità di reazione, la Turchia non ha davvero rivali. Nella seconda metà degli anni ’90 l’ambasciatore turco a Roma fece due visite al segretario generale pro tempore della camera: la prima per diffidare la camera stessa dall’ospitare una delegazione del parlamento curdo in esilio, la seconda dal discutere una mozione sul genocidio armeno, primo firmatario l’ex-ministro Pagliarini . È immaginabile che, accanto alle minacce ritorsive ufficiali, in tutti i Paesi che hanno affrontato questo tema intimidazioni sottotraccia di questo tipo siano state largamente praticate. L’Italia deve alla sensibilità democratica del presidente Mattarella il gesto ulteriore di avere ricevuto in forma ufficiale – unica alta autorità nazionale - il capo del governo armeno in visita nel nostro paese.
Si può notare, in sintesi, che le ragioni dell’economia sempre più spesso tendono a sopraffare i princìpi ai quali le istituzioni dovrebbero attenersi. Soprattutto nelle crisi economico-sociali, sempre più devastanti, spesso decisive anche per le sorti delle competizioni politiche dei singoli paesi. E quindi non c’è da stupirsi per le condotte spesso oscillanti e opache delle diplomazie, e della stessa Unione europea: ma il limite del rispetto dei princìpi democratici non dovrebbe mai essere oggetto di baratto. Soprattutto quello del rispetto dei diritti individuali e delle basi dello Stato di diritto: ed è davvero timida e tenue, e a volte inavvertibile, la reazione delle grandi democrazie - e della più grande in particolare, quando si tratta dello Stato turco -, a fronte dei giornalisti imprigionati e condannati, delle testate soppresse, dei magistrati destituiti e sostituiti;di intere comunità cristiane - ormai si definiscono “cripto cristiani”, ad esempio quelli del Ponto - costrette a nascondere le propria fede e a fingersi se non a diventare musulmani; di intere minoranze, come quella curda - che sono colpite e inquadrate nel mucchio del giusto contrasto alle condotte terroristiche dell’estremismo curdo. Anche in territori stranieri . E tanto d’altro; per cui a volte, per avere ospitalità nella comunità democratica, di altro non si viene richiesti se non della forma embrionale delle democrazie, il voto popolare. Tanto sta concedendo l’Unione europea, ad esempio, alla Turchia .
Ma attenzione: c’è una differenza di fondo, tra economia e democrazia, tra le molte altre: l’economia è la scie nza dei cicli, non c’è crisi economica cui non segua una ripresa, e viceversa. La democrazia si perde una volta sola, e non riparte da sé, se non al costo di prezzi altissimi. Ben maggiori di quelli prodotti dalla più devastante recessione o crisi economica.