La Stampa 4.6.16
Ankara abbassa i toni sul genocidio armeno
I media: lezione dai nipoti di Hitler. Il governo: sì al patto sui migranti
di Marta Ottaviani
Orgoglio
e identità nazionale Nazionalisti turchi indossano abiti tradizionali
ottomani e manifestano mostrando cartelli anti-tedeschi e svastiche
davanti al consolato di Istanbul poche ore dopo il voto del Bundestag
che ha definito come genocidio il massacro degli armeni dello scorso
secolo
Il più cattivo è stato sicuramente il quotidiano
Sozcu, che ha definito i parlamentari tedeschi «i nipoti di Hitler». La
palma del più minaccioso va al giornale islamico Yeni Shafak che ha
titolato «La Turchia non dimenticherà». Il foglio filogovernativo Star,
poi, ha un’idea tutta sua e pensa che la decisione di riconoscere il
genocidio armeno da parte del Bundestag sia «un favore fatto al Pkk».
Di certo, a quarantotto ore dalla votazione, la reazione inferocita della Mezzaluna è ben lungi dall’attenuarsi.
L’impressione,
però, è che, al di là dei titoli e degli attacchi, Ankara non solo
possa far ben poco, ma sia intenzionata, pur mantenendo un’irritazione
esteriore, a non compromettere la situazione in modo irreparabile. Il
primo ministro, Binali Yildirim, lo ha detto chiaramente: la Mezzaluna
reagirà in modo forte alla scelta dei parlamentari tedeschi, ma
l’accordo sottoscritto dalla Turchia con l’Unione europea sui migranti
non verrà intaccato da questa crisi bilaterale fra i due Paesi. «Non
facciamo ricatti – ha spiegato Yildirim -. Manteniamo fede ai nostri
accordi e ci aspettiamo che l’Europa faccia altrettanto». Un riferimento
fin troppo chiaro alla liberalizzazione dei visti, prevista per luglio,
ma che, nelle parole dello stesso cancelliere tedesco, Angela Merkel,
il mese scorso, potrebbe slittare.
Il nuovo ministro per i
rapporti con la Ue, Omer Celik, poi, ha parlato di «decisione presa dopo
aver sentito solo la versione armena» e di «serio danno alle relazioni
fra Turchia e Germania, proprio in un momento in cui avrebbero dovuto
evolversi», ma si è guardato bene dall’annunciare conseguenze
irreparabili e, anzi, ha detto che la disponibilità a discutere tutti i
temi resta invariata, aggiungendo che per Ankara la votazione del
Bundestag non ha alcun valore.
Una Turchia arrabbiata, ma non a
muso duro, quindi, dove il primo obiettivo resta portare a casa
l’accordo, che garantirebbe anche aiuti per sei miliardi di euro, da
impiegare nella gestione dell’emergenza migranti. Ma al primo posto
restano i visti, e per due motivi. Il primo è il prestigio a livello
interno che la loro liberalizzazione porterebbe senza dubbio al
presidente Erdogan.
Il secondo, stando ad alcuni analisti, è
l’impressione di un minore isolamento dalla comunità internazionale. Un
aspetto che, in un periodo di rapporti freddi sia con la Russia, sia con
gli Usa, non è affatto da sottovalutare. Mosca appena la settimana
scorsa ha rispedito al mittente una proposta di normalizzazione dopo la
crisi iniziata a novembre e Washington è sempre meno disposta ad
accettare le posizioni autonome di Ankara nella politica mediterranea,
soprattutto per quanto riguarda la crisi siriana.