Repubblica 4.6.16
Spiegate ai giovani perché i migranti ci salveranno
di Alessandro Rosina
NEI
PROSSIMI anni il nostro Paese, compresa gran parte d’Europa, si troverà
con sempre più persone ritirate dal lavoro che assorbiranno risorse per
pensioni e spesa sanitaria, da un lato, e sempre meno persone in età da
lavoro, dall’altro. Un quadro che rischia di diventare insostenibile,
impoverendo la capacità di produrre crescita e dare solidità al sistema
sociale. È possibile rispondere a questi cambiamenti in modo positivo?
Sì, a tre condizioni. La prima è favorire una ripresa delle nascite. La
seconda è mobilitare nel sistema produttivo le risorse finora
sottoutilizzate, in particolare giovani e donne. Il terzo è rinvigorire
la popolazione con l’immigrazione, rafforzando le carenze di manodopera
in vari settori e rendendo più sostenibile il rapporto tra lavoratori e
inattivi.
Chi dice di non volere l’immigrazione dà quindi per
scontato il declino dell’Italia. Chi è accogliente accetta invece una
sfida delicata e complessa, rispetto alla quale nessun paese ha saputo
sinora proporre una soluzione convincente. Se lo scenario di chiusura è
impossibile (a meno di togliere l’Italia dal centro del Mediterraneo e
spostarla su Marte) è però anche vero che lo scenario di flussi di
entrata mal gestiti e di permanenza mal integrata è il peggiore
possibile, perché non migliora la crescita e va a inasprire le
diseguaglianze.
L’immigrazione è quindi una sfida inevitabile che
dobbiamo imporci di vincere. Ma non può essere vinta se prima non viene
capita e colta, dalla classe dirigente e dai cittadini comuni, in tutta
la sua rilevanza sul nostro futuro. Richiede una soluzione sia
strutturale che culturale, mentre oggi prevale lo smarrimento politico e
il disorientamento sociale, come ha ben evidenziato il Cardinale Scola
nei suoi recenti interventi.
I dati recenti di un approfondimento
del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, indicano che il 28% dei
giovani tra i 18 e i 32 anni vorrebbe il rimpatrio di chiunque arriva,
siano essi profughi o persone in cerca di lavoro. La grande maggioranza è
invece favorevole all’accoglienza, ma non incondizionata.
L’at-teggiamento di fondo appare confuso e ambivalente. Da un lato, i
ragazzi italiani, come evidenziano varie ricerche, tendono a non
considerare straniero il compagno di banco con genitori di nazionalità
diversa e colore della pelle diverso. D’altro lato, dai media vengono
bombardati con notizie di sbarchi continui, di episodi di violenza e
condizioni di sfruttamento. Ragioni e valori dell’accoglienza fanno così
sempre più fatica a contrastare la crescita dei timori di una presenza
straniera subita e non ben integrata.
Tutto questo in un contesto
di crisi economica, di welfare in sofferenza, di risorse familiari in
riduzione, di bassa fiducia nelle istituzioni e di alta disoccupazione
giovanile. Non stupisce quindi che i giovani italiani siano quelli più
indotti, rispetto ai coetanei degli altri grandi paesi europei, a
pensare che chi arriva dall’estero più che aiutarci ad allargare la
torta comune ci possa costringere ad una riduzione delle fette pro
capite. Gli under 30 intervistati che concordano con l’affermazione che
gli immigrati peggiorano le condizioni del paese in cui vanno a vivere
sono oltre il 60% in Italia e Francia. Va però tenuto presente che la
Francia ha subito attentati drammatici di matrice islamica e che ha una
presenza straniera maggiore della nostra. Valori più bassi, poco sopra
al 40%, si registrano invece in Germania, paese nel quale risulta più
larga la consapevolezza che l’immigrazione sia parte integrante del
processo di crescita del paese.
Questi dati devono far riflettere
perché ci dicono che rischiamo di far chiudere in difesa una generazione
potenzialmente aperta al confronto positivo tra mondi e culture.
Conforta, in ogni caso, il fatto che si ottengono valori meno negativi
nei contesti in cui l’integrazione funziona e tra chi è più informato
sul fenomeno. La maggioranza di chi dice che gli immigrati sono troppi
non sa infatti dire esattamente quanti siano, tende ad enfatizzare la
componente irregolare e la voce dei costi sul welfare rispetto alla
ricchezza economica prodotta.
La strada è quindi quella del
miglioramento degli strumenti conoscitivi rivolti ai cittadini oltre che
di una responsabilità più solida della politica nella guida al
cambiamento. Iniziative come Open migration, siti di informazione come
Neodemos, eventi pubblici di confronto positivo tra culture, misure di
successo nelle periferie come Quarto Oggiaro a Milano, mostrano che la
diffidenza si può superare e che la diversità può diventare ricchezza
culturale ed economica. Lasciare che una larga parte dei giovani scivoli
invece dalla diffidenza all’ostilità è l’errore più grande che oggi
possiamo fare, del quale possono beneficiare solo le forze politiche che
speculano sulle paure e che sanno solo alzare muri.
Se
l’immigrazione è una di quelle sfide a cui non possiamo sottrarci è
anche vero che senza un ruolo positivo delle nuove generazioni
difficilmente possiamo pensare di vincerla.
Twitter: @ AleRosina68
L’autore è docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano e
curatore del “ Rapporto giovani 2016” dell’Istituto Toniolo