Repubblica 3.6.16
Wenders e gli altri perché tutti oggi lo amano
di Dario Pappalardo
Wim
Wenders ha detto: «Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose
sacre, se esistesse qualcosa come il sacro tesoro del cinema, per me
questo sarebbe l’opera di Yasujiro Ozu». Per Aki Kaurismaki il nome di
Ozu corrisponde a una sfida aperta: «Mi rifiuto di esser sepolto, se
prima non ho dimostrato a me stesso che non riuscirò mai a raggiungere
il tuo livello, Signor Ozu». E ancora Robert Bresson, Paul Schrader, i
fratelli Dardenne: il cinema di Yasujiro Ozu (1903-1963) è nascosto
dietro tante immagini occidentali. Nei suoi 54 film – dal 1927 al 1963 –
Ozu ha raccontato con tocco gentile il Giappone che cambia, che si
occidentalizza. La macchina da presa si avvicina a i personaggi con
discrezione, quasi li incornicia. I primi piani sono vietati. È un
cinema essenziale e per questo invecchiato bene. Tanti titoli,
restaurati, sono finalmente in dvd e adesso oggetto di rassegne in tutto
il mondo. A partire da quel Viaggio a Tokyo (1953) – trasmesso anche in
streaming sul sito di Repubblica – che compare costantemente nelle
classifiche dei capolavori di tutti i tempi. Ozu detestava le
grammatiche, non era un teorico della sua arte come Ejzenstejn,
Scorsese, Truffaut. E per questo appare prezioso il lavoro compiuto da
Tanaka Masasumi, scomparso nel 2011, che ha messo insieme gli scritti,
le interviste sul cinema del maestro giapponese e persino le lettere
inviate quando l’autore combatteva sul fronte cinese negli anni Trenta.
Scritti sul cinema a cura di Franco Picollo e Hiromi Yagi (Donzelli)
permette di entrare nell’universo dell’umile, ma consapevole Ozu. Che è
amato dai registi di oggi perché diceva: «Forza, nuovi registi
originali, venite fuori!».