venerdì 3 giugno 2016

Repubblica 3.6.16
Antonia Arslan.
“Si rompe il muro di silenzio ora esistiamo un po’ di più”
La scrittrice italo-armena: “È un importante riconoscimento di fatti storici. C’è un parallelismo con la Shoah: in entrambi i casi, complicità tedesche”
di Giampaolo Cadalanu

UN PO’ di sollievo, l’idea che il peso di una tragedia si alleggerisca appena: è questo, per Antonia Arslan, l’effetto delle notizie che arrivano da Berlino. Studiosa e scrittrice, la Arslan ha raccontato al pubblico italiano il genocidio armeno nel romanzo La masseria delle allodole.
Signora Arslan, che significato ha la decisione del Bundestag?
«Il voto tedesco è molto importante, ma non per le conseguenze immediate: questi sono voti di principio, un riconoscimento dei fatti storici. È importante perché la Germania è sempre stata alleata della Turchia, anche ai tempi dell’Impero ottomano. Ci sono sempre stati solidi legami economici, che hanno permesso anche la costruzione della ferrovia Berlino-Bagdad, che hanno usato durante il genocidio. Per la verità, tutte le tecniche usate dal regime nazista per la deportazione degli ebrei erano già state sperimentate dai turchi con gli armeni…».
Che cosa cambia con la presa di posizione della Repubblica federale?
«La Germania resta una grande amica della Turchia, ospita milioni di lavoratori turchi, la cancelliera Merkel ha persino sostenuto Erdogan alle elezioni… Ma questo voto è l’affermazione della volontà di ristabilire la verità storica».
Ma nel concreto, che effetti avrà questa decisione?
«Non c’è un significato materiale, ma in termini ideali è un gesto significativo contro la pesante coltre di negazionismo. La decisione del Bundestag mina una costruzione menzognera che è stata imposta sulla Turchia e rinnovata Parlamento dopo Parlamento».
Ma perché in Turchia questo tema è considerato tabù? Come mai la cultura turca rifiuta persino di prendere in considerazione un ripensamento, a distanza di un secolo dai massacri?
«Questa è una domanda che si pongono tante persone di buon senso. Ma l’intero apparato della repubblica turca è basato su questa bugia. La gigantesca operazione di pulizia etnica ai danni delle minoranze viene completamente negata. Anche l’immagine del Paese costruita da Mustafà Kemal è segnata da travisamenti storici. E tutti devono partecipare a perpetuare questa rappresentazione: dai docenti universitari ai giornalisti, ai centri studi. Perché non si può ammettere la verità: per oltre un secolo abbiamo sostenuto una bugia».
Com’è possibile che nella società turca nessuno mostri imbarazzo per questa rimozione?
«Non è facile . C’è un libro, di cui ho curato da poco l’edizione italiana, che racconta il durissimo cammino verso la presa di coscienza: è firmato da Hasan Cemal, giornalista settantenne e nipote di Cemal Pasha, uno degli esecutori materiali dei massacri. Si chiama proprio: “1915: genocidio armeno”. Racconta la presa di coscienza di una persona cresciuta nell’adorazione del nonno. In questo momento il dibattito delle idee non attraversa una fase favorevole in Turchia, ma ci sono giornalisti e docenti universitari che hanno fatto un percorso di conoscenza ».
È curioso che ci sia questo collegamento con la Germania, un Paese che ha fatto i conti con il suo passato in maniera molto dura. Che ne pensa?
«In effetti c’è un parallelismo fra il “Grande male” armeno e la Shoah. E anche il genocidio armeno è stato compiuto con qualche complicità tedesca. Per questo è importante che oggi la Germania lo riconosca ».
Ma lei personalmente come ha reagito alla notizia del voto? Che cosa cambia, per lei?
«Io sono nata in Italia, non posso che esprimermi in italiano, ma c’è sempre questa consapevolezza di aver fatto parte di una famiglia distrutta. È una ferita mai sanata.Sprezzantemente ignorata. E quando un Paese la riconosce, come ha fatto l’Italia nel 2001, ci si sente un po’ più riconosciuti, si esiste un po’ di più».