Repubblica 3.6.16
L’offensiva contro Grillo
di Stefano Folli
IL
BRACCIO di ferro fra Renzi e i Cinque Stelle è ormai il filo conduttore
di una fase che comincia fra un paio di giorni con il voto
amministrativo nelle città, si prolunga oltre l’estate con il fatidico
referendum costituzionale e si proietta poi verso le elezioni di fine
legislatura.
Chi si stupisce che la rincorsa alla consultazione di
ottobre sia cominciata con oltre cinque mesi d’anticipo, dovrà
abituarsi presto al fatto che il vero traguardo conclusivo sono le urne
del 2018 (salvo un possibile anticipo al 2017). Solo così si spiega il
teorema enunciato dal presidente del Consiglio: «Se al referendum vince
il No io vado a casa e cambio mestiere; ma se vince il Sì i Cinque
Stelle dovranno dichiarare il loro fallimento». Sottinteso: avranno
difeso inutilmente un vecchio impianto costituzionale molto costoso,
mentre la riforma Boschi taglierebbe le unghie a quella “casta” contro
cui era nato il M5S. Come si vede, il referendum d’autunno resta lo
strumento di uno scontro politico senza esclusione di colpi, ben al di
là del merito della riforma. La personalizzazione nei fatti.
È il
segno che il movimento grillino resta la minaccia più insidiosa al
disegno renziano, benché non sia ancora un’alternativa credibile di
governo. Quel che è certo, il M5S è l’unico contenitore capace al
momento di raccogliere il malessere e la frustrazione sociali in
percentuali pari o superiori al 25 per cento — almeno secondo i
sondaggi. Così la campagna anti-Cinque Stelle si presenta come l’unico
tema politico-elettorale di rilievo ora e nel prossimo futuro. Del
resto, gli amici di Grillo sono gli unici a gradire un sistema
elettorale, l’Italicum, che piace anche a Renzi e che altrove raccoglie
parecchie critiche. I Cinque Stelle lo interpretano come un regalo della
sorte perché potrebbe consentire loro di imporsi al ballottaggio del
2018 (o 2017) e di acchiappare il premio di maggioranza. Punto dolente
che Renzi non sottovaluta in cuor suo. Quindi, da un lato difende la
legge da lui stesso voluta e imposta; dall’altro prova a vedere se i
Cinque Stelle si possono ridimensionare prima delle elezioni politiche.
Riuscire
a metterli in crisi entro la fine dell’anno vorrebbe dire tenersi
l’Italicum così com’è, opzione molto gradita al premier. Altrimenti egli
dovrà forse cedere a chi gli consiglia di rivedere la legge, aprendo la
strada alle coalizioni. Ecco perché Renzi parla di «fallimento» dei
grillini nel caso di vittoria del Sì. In realtà nessuno dei Cinque
Stelle ha mai dato tanta enfasi al referendum. A questo pensa invece
Renzi, proprio perché il suo obiettivo è individuare il varco attraverso
cui screditare il movimento anti-politica e anti-casta. Egli tenta di
appropriarsi di alcuni temi grillini e di girarli contro i loro
inventori, nella speranza di schiacciarli sul fronte conservatore.
Vedremo
presto se l’operazione ha prospettive di successo. Di sicuro, il
passaggio delle amministrative conta parecchio. Non è un caso che il
presidente del Consiglio si sia speso in prima persona per Giachetti. Ha
visto che la campagna del candidato Pd a Roma finisce in crescendo e
che il passaggio al secondo turno è plausibile. Perciò la battaglia per
il Campidoglio entra a pieno titolo nei piani di guerra contro i Cinque
Stelle, cosa che non pareva possibile all’inizio. Del resto, il fronte
Grillo sembra un po’ sottotono. In primo luogo a Roma, benché Virginia
Raggi rimanga più che favorita nel ballottaggio. Ma anche nel resto
d’Italia l’esercito degli antagonisti dà l’idea di aver perso un po’ di
smalto. Può essere un’impressione sbagliata ovvero il segno di una
transizione in atto, tale da provocare perdita di identità.
Nel
calcolo di Renzi, se Giachetti va al secondo turno e si gioca una bella
partita con Virginia Raggi, il duello può essere proiettato su scala
nazionale e prefigurare lo scontro referendario. Dove al premier servirà
un nemico vero: non bastano gli innocui “gufi” della maggioranza,
strattonati ogni giorno. I Cinque Stelle sono l’avversario ideale su un
terreno — appunto il referendum — che Palazzo Chigi ritiene idoneo alla
vittoria. Almeno sulla carta.