venerdì 3 giugno 2016

Corriere 3.6.16
Il rilancio della cultura che manca nei programmi
di Emmanuele F. M. Emanuele

Caro direttore, lo dico da cittadino, e la uso come metafora per il Paese perché la questione non riguarda solo le città: ma si può impostare una campagna elettorale a Roma, la città più bella ed emblematica del mondo, puntando come obiettivo massimo alle proposte per cercare di affrontare argomenti come le buche stradali, il traffico, i rifiuti da raccogliere e gli allagamenti da evitare quando piove? Buche, traffico, rifiuti e allagamenti sono purtroppo lo specchio del fallimento di chi ha amministrato sinora, ma non possono costituire l’orizzonte reale del futuro della città che ha metà del patrimonio culturale italiano che, a sua volta, è il 40 per cento del patrimonio culturale mondiale censito dall’Unesco.
Insomma: le buche vanno colmate, il traffico va regolato, i rifiuti vanno raccolti e smaltiti e gli allagamenti almeno circoscritti ma l’unica prospettiva vera per la città, per i suoi giovani (e anche per i suoi meno giovani) è una sola: farla diventare la capitale mondiale della cultura, la sede naturale dell’arte e degli artisti di tutti il mondo, il crocevia del confronto fra le civiltà, le identità e le religioni, documentando al massimo livello l’osmosi con le culture anche lontane che ci circondano e dalle quali siamo influenzati. Non per concessione di qualche organismo internazionale ma per decisione consapevole della sua classe dirigente, tra cui bisogna annoverare anche quella che si candida a guidarla.
So di proporre una visione totalmente alternativa sia rispetto alle priorità nazionali, sia rispetto a quelle locali, ma dobbiamo sapere che l’asset principale della nostra Italia è uno solo, è la cultura: nel 2013 (ultimi dati disponibili) il prodotto interno culturale diretto è stato di 80 miliardi di euro, quello comprensivo dell’indotto di 213 miliardi.
Parliamo dunque del 16 per cento del prodotto interno lordo di un Paese che non ha più grandi industrie e perde costantemente terreno, nonostante il made in Italy sia oggetto di desiderio nel mondo, nella classifica dei Paesi più industrializzati; che dipende dall’estero per i grandi approvvigionamenti agricoli; che ha un welfare che si sta sfaldando; che non ha, salvo casi singoli, isolati, strutture a livello industriale nella ricerca; che discute tuttora se e chi deve occuparsi di banda larga, mentre nel mondo nei prossimi 4 anni (orizzonte da piano industriale di un’azienda e non da scenario fantascientifico) le persone che useranno la rete raddoppieranno, passando da 3 a 6 miliardi.
La cultura è dunque il vero patrimonio italiano, da Venezia a Palermo, ad altri mille siti dove a giugno non si vota. Ma è a Roma cui dobbiamo chiedere uno scatto di reni: non possiamo accettare dai candidati il contentino di aver messo sotto la voce cultura nei propri programmi piccole idee di manutenzione, di decoro urbano, di quartieri periferici «adottati» dalle istituzioni culturali del Comune o finanche l’impegno per la gestione cristallina dei fondi pubblici per la cultura (ci mancherebbe il contrario). Bene ha fatto il Corriere della sera a sollecitare alcune risposte ai candidati, ma il fatto è che in esse manca la percezione della cultura come fattore di svolta e punto primario e fondamentale di ogni programma di rilancio.
Per questo dobbiamo rovesciare le priorità di chi si candida a guidare la città separando quella che è ordinaria amministrazione, buche o anche decoro urbano spacciato per intervento culturale, dai grandi progetti che definiscono il futuro: Roma non ha il Louvre che da solo fa più visitatori di tutti i musei italiani messi insieme, ma ha le Scuderie del Quirinale, uno spazio di incredibile bellezza e storia da cui guardare tutta la città, commissariate da tre anni.
Ripeto, commissariate da tre anni. Uno spazio che, grazie all’attenzione dichiarata del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la cultura, potrebbe comprendere anche eventi espositivi nello stesso palazzo del Quirinale, facendone in pochi anni quel grande riferimento che manca. Nessuno dei candidati ne ha idea.
Roma dovrebbe aprirsi a quel Mediterraneo che è il suo mare, ma preferisce mantenere chiuso il Museo dell’Africa Orientale perché non ha i soldi per gestirlo e rifiuta il contributo dei privati, anche di quelli non profit. Lo stesso vale per alcune Biblioteche del territorio.
Roma, ma dubito che i candidati lo sappiano, ha un quartiere che si chiama Tormarancia dove la domenica vi sono più visitatori italiani che al Colosseo, un quartiere rinato a nuova vita grazie agli artisti mondiali della street art mobilitati dalla Fondazione Terzo Pilastro, la stessa che per la prima volta ha avuto il coraggio provocatorio di chiudere Banksy in un museo per rendere omaggio ai suoi murales.
Potrei continuare a lungo ma chiudo con un ultimo esempio: qualcuno sa quanti visitatori in più, e quindi quanto reddito aggiuntivo, ha generato l’ Icaro caduto lasciato nella piana di Segesta in Sicilia dopo la mostra di uno dei grandi dell’arte contemporanea, Igor Mitoraj, oggi a Pompei (per inciso, sempre per volontà della Fondazione Terzo Pilastro e del suo Presidente) con trentasei sculture che rafforzano incredibilmente la suggestione della città romana? Qualcuno sa che uno dei luoghi d’elezione dello scultore polacco era Roma, e che quindi si può costruire un filo rosso di grandiosa bellezza tra Pietrasanta, dove ha vissuto e lavorato, Roma, Pompei e la piana di Agrigento? Quanto vale questo percorso in termini di Prodotto interno culturale?
C’è una pre-condizione fondamentale: la volontà di lavorare insieme ai privati non profit, riconoscendone il ruolo ed esaltandone la collaborazione. Altrimenti, le risorse scarse o nulle che lo Stato e i Comuni destinano alla cultura (la nostra spesa per abitante è la metà di quella greca, un primato negativo su cui riflettere) saranno appena sufficienti per mantenere la burocrazia della cultura e non per lo sviluppo di quella che io chiamo l’«energia pulita» dell’Italia. Spero, come ho chiesto da tempo, che si torni a studiare storia dell’arte a scuola e voglio credere, per il Paese e per Roma, che ci siano persone illuminate che sappiano guardare oltre le buche e i rifiuti per rendere disponibile al mondo la bellezza, evitando di collocare anche il nostro patrimonio culturale su quel lungo piano inclinato dove il filosofo Emanuele Severino ha visto scivolare le identità e i valori dell’Occidente. Purtroppo, a Roma e in Italia, non ne abbiamo altri.