Repubblica 2.6.16
Roberto Benigni.
“La nostra Costituzione è la più bella del mondo ma si può cambiare per avere le riforme”
Stasera su Rai 1 torna lo show dell’artista sulla Carta. “Io voterò sì al referendum.
Si ottengono obiettivi che aspettiamo da decenni come quello di superare il bicameralismo perfetto”
13 milioni. Nel 2012 fu questa l’audience dello show di Benigni sulla Costituzione andato in onda su Rai1
Capisco e rispetto le ragioni di coloro che scelgono il no
Attenti
al trucco all’italiana. Non dice mai: se perdo vado via. Dice sempre:
se perdo vado a casa. E lui dove abita da due anni? A Palazzo Chigi
Gli
Stati Uniti ci copiano spudoratamente. Per la Casa Bianca corre un
miliardario, che è sceso in campo per tutelare i suoi interessi, ha guai
giudiziari e fa una gaffe dietro l’altra
Il Movimento di Grillo
Sono un comico, non posso criticare un collega In realtà riconosco la
passione di molti grillini Ma amando la politica, detesto l’antipolitica
intervista di Ezio Mauro
Roberto
Benigni, lei sa cosa avevano votato suo padre e sua madre al referendum
che chiedeva ai cittadini di scegliere tra repubblica e monarchia, il 2
giugno di settant’anni fa?
«Due contadini socialisti come loro
cosa potevano votare? Repubblica, naturalmente. Ne abbiamo parlato molte
volte, in casa. La sera prima, mio padre disse a mia madre: ma tu, vuoi
votare per il re, che sarà uno e uno solo, o per la Repubblica che ci
farà diventare tutti re? Non ebbero dubbi, e non si sono mai pentiti».
Si ricorda che qualche anno fa, a proposito di pentimento, si tentò di abolire tranquillamente la festa della Repubblica?
«Certo,
fu quel galantuomo repubblicano – è il caso di dirlo – di Carlo Azeglio
Ciampi a reintrodurre la festa. Abolirla? Una cosa da matti, come
segare la base del monumento allo Stato. Anzi, come se la Chiesa, per
non intasare le festività di fine anno, cancellasse il Natale».
Se è per questo, la destra qualche anno fa tentò anche di abolire il 25 aprile, lo sa?
«Non
ci volevo credere. È la data fondamentale della democrazia ritrovata,
da quel giorno è nata la libertà di tutti, per tutti, da qualunque parte
venissero. Sarebbe stato come cancellare la storia, è impossibile.
Eppure ci hanno provato. Già questo ci dice che anni abbiamo vissuto. E
ci dovrebbe risvegliare un po’ di passione in più per questa nostra
Repubblica».
Ce n’è troppo poca?
«Ha mai sentito l’orgoglio
dei francesi quando parlano della “Republique”? Noi usiamo più
facilmente la parola Stato, senza orgoglio, a voce quasi bassa. Capisco
molte ragioni. Ma dico: bisognerebbe distinguere la politica corrente
dalle istituzioni, le istituzioni dalla macchina amministrativa, e
infine la politica buona da quella cattiva. Tutto quel che festeggiamo
oggi, e il 25 aprile, ce lo siamo riconquistati, grazie agli Alleati
certo, ma anche a quella ribellione di una parte del Paese al fascismo.
Per questo lo Stato è “nostro”, anche se lo sentiamo spesso lontano».
Non abbiamo memoria?
«Non
abbiamo coscienza di noi stessi, della parte migliore di noi. Per la
Repubblica, ad esempio, dobbiamo ringraziare le donne che quel 2 giugno
’46 sono state decisive per fermare la monarchia, molto alta nel voto
nonostante il comportamento del Re col fascismo e con le leggi razziali.
È impressionante pensare che fino a quel giorno le donne in Italia non
avevano mai votato, provi a raccontarlo a due ragazzi di oggi. E come
sempre quando scendono in campo, le donne hanno contribuito a cambiare:
questa volta il Paese. Guardi che non era semplice, tra il popolo c’era
il timore dell’anarchia istituzionale. Sa come si diceva nelle campagne
quando si parlava di una grande confusione? Qui viene fuori una
repubblica. Eppure la saggezza popolare seppe scegliere, e incominciò
un’altra storia».
Repubblica, Resistenza, Costituzione, Democrazia: sono questi i quattro elementi della nuova storia?
«Legati
insieme. La Resistenza ha consentito di poter scrivere una
Costituzione. E la Costituzione, all’articolo 1, sancisce in forma
solenne che l’Italia è una Repubblica. E aggiunge quell’aggettivo:
democratica. E quella formula fantastica, di cui oggi nella crisi
comprendiamo tutto il significato: “fondata sul lavoro”. Poi nella Carta
c’è come una sceneggiatura, un racconto che corre articolo per articolo
fino all’ultimo, il 139, dove torna la Repubblica, per stabilire che la
forma repubblicana non può essere oggetto di revisione. Sembra quasi
che i Padri costituenti se lo fossero dimenticati, quell’articolo, in
realtà la Costituzione a ragion veduta si apre e si chiude parlando di
Repubblica. Quell’articolo finale mi è sempre sembrato una specie di
avvertimento per i posteri: oh, non vorrete mica scherzare... In ogni
caso, guardate, noi mettiamo la Repubblica al riparo per il futuro,
fidarsi è bene, ma non si sa mai».
Lei questa sera porterà in
replica “La più bella del mondo” al grande pubblico di Rai 1, dopo che
nel 2012 la buona vecchia Costituzione fece 13 milioni di ascolti,
contro gli 11 milioni dei “Dieci Comandamenti” due anni dopo. Dunque
Calamandrei batte Mosè?
«Calamandrei, i suoi colleghi e i suoi
avversari. Perché dietro la Carta, se si tende l’orecchio, si sente il
frastuono della democrazia, che è lotta e scontro di interessi
legittimi, di valori e soprattutto di idee. Però sa cosa c’era allora, e
si capisce benissimo oggi leggendo quegli articoli? Un orizzonte
comune, un impegno comune per il bene comune. E infatti quegli uomini e
quelle donne sono riusciti a creare lo Stato repubblicano, la sua
Costituzione e la democrazia senza violenza. Un momento di grazia».
Che la politica non sa più ricreare?
«Ma
guardi che la grazia va al di là della politica. Fu una rivoluzione di
costume, culturale. Venivamo da vent’anni di fascismo, dalla guerra, con
lo straniero in casa, il disprezzo della legge, un massacro morale,
l’idea di Stato confiscata dalla dittatura. Ed è venuta fuori una
costituzione solidale, altruista, con un forte senso di moralità civile.
Sa come diceva Peguy, la rivoluzione o sarà morale o non sarà. Ecco, la
ribellione al fascismo ha toccato solo una parte del Paese, ma ha
innescato una rivoluzione mora- le, nel senso civico e repubblicano. È
il caso anche per noi, pensando ai costituenti, di usare la formula di
Churchill: mai tanti dovettero così tanto a così pochi».
E allora che bisogno c’è oggi di cambiarla, questa Costituzione?
«Infatti
farebbero bene ad attuarla, prima di pensare a cambiarla. La Carta è
nata come una promessa alle generazioni future. Noi siamo qui riuniti –
disse Calamandrei in quei giorni – per debellare il dolore e per ridurre
la maggior quantità possibile di infelicità. Ci rendiamo conto? In
questo senso la Costituzione, come la democrazia, è un paradosso, perché
chiede a tutti le virtù di pochi».
Ma la Carta non deve disegnare il paradiso, quella è una geografia che spetta alle religioni, non le pare?
«Nemmeno
un paradiso terrestre, siamo d’accordo. Ma i Costituenti si sono
preoccupati di disegnare la porta, perché sapevano benissimo che un
paradiso da cui non si può uscire diventa facilmente un inferno. Dunque
hanno previsto i meccanismi di revisione del loro testo. Io sono
affezionato particolarmente alla prima parte, quella dei diritti e dei
doveri, che per fortuna nessuno vuole toccare. Ma sulla parte
dell’ordinamento dello Stato intervenire si può, anche tenendo conto
della fase storica in cui la Costituzione è nata, dopo un periodo di
umiliazione del Paese e delle sue istituzioni».
Si riferisce alla
storica paura del tiranno di cui parla Zagrebelsky, o alle accuse di
riforma autoritaria per le norme sul Senato?
«Lei sa che io non
sono né un costituzionalista né uno storico, parlo da cittadino. Ma dopo
settant’anni di democrazia, se qualcuno volesse provare a farsi
dittatore nell’Italia di oggi sa cosa verrebbe fuori? Un tiranno da
operetta».
C’è però l’eterno accomodamento democristiano. Giolitti
diceva che la politica da noi quando trova un Paese gobbo invece di
correggerlo gli confeziona un abito da gobbo: è il rischio della riforma
del Senato, cercare l’autorità con l’accentramento del potere invece
che con la politica e il consenso?
«Dopo Giolitti, e con sua buona
pace, abbiamo avuto anche sarti perfetti. Guardi come hanno tagliato la
Costituzione: altro che accomodamenti, piuttosto pedagogia democratica.
Io credo che la cornice di valori della Carta non sia affatto in
pericolo. Certo, bisogna tenere gli occhi aperti».
Carta perfetta: ma perché la nostra democrazia non funziona?
«Potremmo
dire perché da noi è nata prima la cultura poi lo Stato. Ma guardi che
anche oggi, con tutti i guai che abbiamo, noi veniamo scelti come
modello addirittura dagli Stati Uniti, che sono la più grande democrazia
del mondo».
E per che cosa?
«Ci copiano, e anche
spudoratamente. Non vede che sta correndo per la Casa Bianca un
imprenditore miliardario, che non si è mai occupato di politica, che è
sceso in campo per tutelare i suoi interessi, che ha dei guai giudiziari
per evasione fiscale, che fa una gaffe dietro l’altra, che si circonda
di belle donne e che ha problemi con i capelli? Copiato da noi, tutto.
Poi ci sono giornalisti che si domandano come si può eleggere uno così.
Ma noi lo abbiamo già fatto, ci siamo arrivati vent’anni prima. Gliel’ho
detto, ci lamentiamo sempre eppure siamo un modello da esportazione,
anzi siamo dei pionieri».
Non trova scorretto, da cultore
appassionato della Carta, che Renzi trasformi un referendum
costituzionale in un plebiscito personale? Non le ricorda Fanfani nel
referendum sul divorzio?
«Mi ricorda più un giocatore di poker,
quelli che si puntano l’intera posta spingendo le fiches con le mani:
all in. Ma guardi bene e ascolti meglio, perché può esserci il trucco
all’italiana».
Quale trucco?
«Renzi non dice mai se perdo vado via, me ne vado. Dice: se perdo vado a casa».
E allora?
«Stia attento: dov’è casa sua? Lui abita da due anni a Palazzo Chigi. Capito?».
Ma lei cosa voterà al referendum? Mi è sembrato indeciso, prima ha detto sì, poi no. Dunque?
«Ho
dato una risposta frettolosa, dicendo che se c’è da difendere la
Costituzione, col cuore mi viene da scegliere il “no”. Ma con la mente
scelgo il “sì”. E anche se capisco profondamente e rispetto le ragioni
di coloro che scelgono il “no”, voterò “sì”».
Perché?
«Sono
trent’anni che sento parlare della necessità di superare il
bicameralismo perfetto: niente. Di creare un Senato delle Regioni:
niente. Di avere un solo voto di fiducia al governo: niente.
Pasticciata? Vero. Scritta male rispetto alla lingua meravigliosa della
Costituzione? Sottoscrivo. Ma questa riforma ottiene gli obiettivi di
cui parliamo da decenni. Sono meglio del nulla. E io tra i due scenari
del giorno dopo, preferisco quello in cui ha vinto il “sì”, con l’altro
scenario si avrebbe la prova definitiva che il Paese non è riformabile».
Ma di Renzi lei si fida?
«Renzi
è una persona che stimo. Quando recitavo Dante a Firenze veniva ogni
sera, e ogni volta si sedeva più a destra. Prima due file più in là,
come per provare, poi quattro, poi sei. Andava sempre a destra, io lo
facevo notare al pubblico con una gag infantile, che creava un sacco di
risate, segno di popolarità e di simpatia. Anche perché in Toscana le
case del popolo sono piene di matteorenzi che dicono che fanno tutto
loro. Il personaggio è conosciuto».
E Verdini, conosce anche quel tipo?
«Toscano
più di Renzi, toscanissimo. Me lo vedo su una piazza, nel mercato, che
ti vuol vendere qualcosa e ti convince, poi torni a casa e non sai che
fartene. Farebbe bene la Volpe in Pinocchio. Ma anche l’Omino di burro
che raccoglie i ragazzi somarelli e li porta via nel Paese dei Balocchi
promettendogli la settimana dei tre giovedì. Ma forse hanno fatto le
unioni civili apposta per regolarizzare il suo rapporto con Renzi».
E Grillo?
«Abbia
pazienza, sono un comico, non posso criticare un mio collega. In realtà
riconosco la passione di molti grillini. Ma vede, amando la politica,
detesto l’antipolitica. Come si fa a dire candido chiunque ma non un
politico? Lo diresti di un chirurgo prima di un’operazione? E poi,
questa esaltazione dell’ignoranza, questo rifiuto della politica è un
rifiuto di occuparti della tua vita, di quella dei tuoi figli e degli
altri. Si punta sul caos rifiutando l’intero sistema e fingendo che
tutti siano uguali. Non lo sono mai: anche tra due terribili ce n’è
sempre uno meno peggio, esiste sempre la possibilità di distinguere ».
Salvini le fa rimpiangere Bossi?
«Quei
politici che sfruttano la paura degli stranieri e puntano a conquistare
gli altri passando dal loro lato più debole non sono soltanto xenofobi,
sono soprattutto volgari e vecchi, ci tengono inchiodati al passato.
Chi ripete che destra e sinistra sono superate, dovrebbe guardare in
faccia questa destra e capire che c’è bisogno se mai di più sinistra,
una sinistra ragionevole, di governo, solidale ed europea. E invece
vogliono portarci fuori dalla Ue. Provi a domandare ad un ragazzo di
quindici-diciotto anni se vuole i muri con l’Europa. Provi. I nostri
figli sono italiani così come sono europei, per loro è un dato naturale.
Ecco perché la destra xenofoba è fuori dalla storia».
E perché allora sconfigge le socialdemocrazie in Occidente, attacca con successo il pensiero liberale nell’Europa di mezzo?
«Perché
i principii da soli non bastano, ci vogliono gli uomini che sappiano
riproporci un sogno. Il corpaccione della vecchia Europa ha corso così
tanto per ricostruirsi dopo la guerra, che adesso dovrebbe fermarsi un
po’, perché finalmente lo raggiunga l’anima. Senz’anima l’Europa è
moneta e burocrazia: troppo poco».
Benigni, andrà a votare domenica alle comunali o pensa che Roma sia ormai ingovernabile?
«Penso
che Roma sia magnifica, e che si possa raddrizzare. Dovendo scegliere
una persona per bene, dopo gli scandali, penso che Giachetti sarebbe un
buon sindaco. Quanto a votare, ci vado sempre. Ognuno di noi ha più
potere di quel che pensa, e io non lo butto via».
Non ha paura di passare per renziano, col suo sì al referendum?
«E
cosa dovrei fare? Non votare come penso per il conformismo
dell’anticonformismo? Non voglio rimanere neutrale, lavarmene le mani
dicendo che faccio l’artista, voglio essere libero. E la libertà non
serve a nulla se non ti assumi la responsabilità di scegliere ciò che
credi più giusto».
Prenderebbe Renzi in braccio, come Berlinguer?
«Io ho qualche anno in più, lui qualche chilo di troppo. Diciamo che entrambi non abbiamo il fisico per farlo».