giovedì 2 giugno 2016

Repubblica 2.6.16
Giovanni Maria Flick
“Rinnovare è scontato ma per farlo meglio servivano più quesiti”
Gli elettori sono chiamati a decidere su temi troppi diversi tra di loro, si può essere d’accordo su alcuni e altri no
intervista di C. L.

ROMA. «Che ci sia qualcosa che possa e debba essere cambiata nella seconda parte della Costituzione, che è frutto di un periodo storico molto diverso dall’attuale, è scontato. Il problema è come lo si faccia. Io non temo svolte autoritarie, ma problemi e complicazioni che possono nascere da una riforma malfatta. Penso anche che la seconda parte della Carta che si intende modificare viva in stretta simbiosi con la prima. Detto questo, vadano tutti a votare, è il mio auspicio, al di là dei tecnicismi». Giovanni Maria Flick, ex presidente della Consulta, è stato ministro della Giustizia nello stesso governo Prodi nel quale Luigi Berlinguer è stato ministro dell’Istruzione. Ma a differenza dell’ex “collega” ha sottoscritto l’appello dei 56 costituzionalisti scettici sulla riforma. Chiede «una doverosa premessa».
La faccia.
«Il 2 giugno non intendo entrare in una polemica sulle riforme costituzionali. Almeno in questo giorno è bene sottolineare ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide. E la Costituzione è di sicuro un elemento che ci ha tenuto uniti».
Però siamo già in piena campagna referendaria.
«I nostri padri il 2 giugno del ’46 sono stati chiamati a una scelta delicata ma al contempo chiara e semplice: monarchia o Repubblica? Oggi, purtroppo, il referendum costituzionale chiama gli elettori ad un’unica scelta su temi assai diversi tra loro. Sarebbe stato più corretto articolare la consultazione in più quesiti».
Intanto altre 250 personalità per il Sì. Sta diventando una battaglia tra cartelli?
«In democrazia ogni opinione è valida e giusta e va rispettata. E aggiungo con la dovuta leggerezza che la materia costituzionale è forse troppo seria per essere lasciata nelle sole mani dei costituzionalisti».
Ma non teme una spaccatura nel Paese?
«No. Temo piuttosto l’inasprirsi della contesa. Se non si ridurrà tutto ad una rissa sulla persona del premier allora diventerà un importante momento di confronto, in cui il modo è forse più importante del risultato finale. Il referendum costituzionale non è stato pensato per giudicare un governo. Crisafulli, un tecnico che ne capiva, diceva che quando il Parlamento discute di Costituzione è bene che i banchi del governo rimangano vuoti».