mercoledì 29 giugno 2016

Repubblica 29.6.16
Quella sinistra (anche) inglese senza prospettiva di governo
di Giancarlo Bosetti

CON la sfiducia dei suoi parlamentari al leader laburista lo sconquasso prodotto da Brexit nella politica britannica si abbatte anche sull’opposizione. Jeremy Corbyn difficilmente vedrà le prossime elezioni politiche dalla plancia di comando. Le accuse di scarsa energia nella campagna per il Remain si collegano ai malumori antieuropeisti che hanno fatto breccia nell’elettorato laburista.
Del resto il profilo di Corbyn non è quello di un europeista: come lui stesso ha ammesso, nel 1975 votò contro l’appartenenza della Gran Bretagna a quella che allora si chiamava Cee, ma anche in tempi più recenti la sua campagna contro la «brutale organizzazione» di Bruxelles ha assottigliato i confini tra critica all’austerity e voglia di andarsene. Altri tempi, quelli in cui i Blair e i Brown accusavano i conservatori di assecondare umori secessionisti di tipo leghista e invitandoli a esercitare la funzione di una classe dirigente degna di governare.
Il futuro del laburismo britannico torna ora a presentare un grande interrogativo. La stagione del leader 67enne che aveva spostato verso posizioni più radicali il centro di gravità del partito, dopo i fratelli Miliband, il blairiano David e poi il più ortodosso socialdemocratico Ed, sembra chiudersi anzitempo in uno scenario confuso. La sua vittoria alle primarie era stata netta e aveva incontrato consensi tra i sostenitori più giovani e i più anziani, meno nelle fasce d’età intermedie. Il risultato sorprendente e paragonabile, per tante ragioni, a quello di Sanders (l’avversario della Clinton, che ora si è arreso) ha messo in luce la capacità di Corbyn, della sua immagine e dei suoi programmi per i diritti umani e la giustizia sociale, basati su nazionalizzazioni ed erogazioni monetarie dirette alle famiglie, di incontrare consensi entusiastici in fasce di elettori o sostenitori del suo partito. La novità delle primarie dell’anno scorso ha avuto come conseguenza l’abbandono dei filtri tradizionalmente rappresentati da sindacati, parlamentari e strutture del partito e dalla ponderazione dei voti, per cui i vecchi membri pesavano molto più dei nuovi mentre i registered supporters potevano votare con il semplice versamento di tre sterline e con il reclutamento online. La riforma delle primarie, progetto a lungo desiderato dalla destra del partito per aggirare le resistenze dei sindacati, ha finito per avere un esito di segno esattamente contrario, diversamente dai casi americano, italiano e francese.
Per la serie degli “effetti inattesi” è accaduto qualcosa di inedito: un esponente dell’ala sinistra radicale prendeva il controllo del partito. I conoscitori della storia del Labour sanno che non è vero che fosse accaduto prima. Dagli anni Trenta quest’ala non ha mai avuto il comando e quando si citano Harold Wilson o Neil Kinnock si dimentica che avevano guidato il partito verso il centro. E lo stesso Michael Foot, a cui spesso Corbyn viene paragonato, era una figura di soft- left, con alle spalle esperienza di governo. Come ricorda in modo pungente James Stafford, giovane storico di Cambridge, Corbyn era un protégé di Tony Benn, e Foot fu eletto segretario proprio per sbarrare la strada a Benn, esponente una far- left capace di stare sulla scena per testimoniare ansie di giustizia e sentimenti di protesta, ma non di competere per il ruolo di uno dei due partiti concepibili come forze di governo.