Repubblica 29.6.16
Ideali, polemiche e sconfitte l’anno inutile del “Rosso” che aveva stregato i giovani
Le
sue posizioni contro l’austerità suscitarono entusiasmo: ma da lui mai
proposte concrete In maggio scorso alle amministrative ebbe il peggior
risultato della storia del partito
di Enrico Franceschini
LONDRA.
Il primo annuncio della sua candidatura a leader laburista, nel giugno
del 2015, esce sull’Islington Tribune, un giornaletto dell’omonimo
quartiere londinese. La notizia non sembra destinata a suscitare un
interesse molto più ampio: deputato dal lontano 1983, puntualmente
rieletto in una delle aree più progressiste della capitale, Jeremy
Corbyn è la “primula rossa” del Labour, un parlamentare schierato su
posizioni così radicali da risultare perennemente isolato, più un
aneddoto di colore che un punto di riferimento politico. Dodici mesi più
tardi, viceversa, il voto di sfiducia di tre quarti dei deputati
laburisti nei suoi confronti rimbalza su tutti i siti e tutte le tivù
del mondo. Un anno di distanza lo ha reso una star della sinistra
internazionale, un modello per chi la vuole più battagliera, un antidoto
alla linea riformista dei predecessori, in patria e all’estero. Ma
quello trascorso dal giorno della sua discesa in campo, per i suoi
critici, è stato un anno inutile, perduto, sprecato: e chi gli ha votato
contro spera di imprimere una svolta al partito, prima che sia troppo
tardi.
Un anno fa, le 35 firme di colleghi deputati a sostegno
della sua candidatura, il minimo richiesto, vengono raccolte pochi
minuti prima della scadenza dei termini: molti gliela danno soltanto per
ampliare il dibattito all’estrema sinistra del Labour, non perché suoi
veri sostenitori (tra questi Jo Cox, la deputata assassinata una
settimana fa, che in seguito, davanti alla sua vittoria e alla sua linea
politica, si dice pentita di avervi contribuito). Lo stile semplice e
spontaneo di Corbyn porta una ventata d’aria fresca nelle primarie
laburiste, indette dopo le dimissioni di Ed Miliband, il leader
sconfitto dal conservatore Cameron alle elezioni del maggio 2015. Le sue
posizioni contro l’austerità e il crescente gap ricchi-poveri suscitano
entusiasmo tra gli iscritti, soprattutto tra i giovani, un po’ come
Bernie Sanders negli Stati Uniti. Ma non sono accompagnate da piani
concreti per una politica diversa. A settembre, smentendo le previsioni
dei commentatori (e pure dei bookmaker), Corbyn stravince con quasi il
60 per cento dei voti. «Una tragedia per il Labour», commenta Tony
Blair, che aveva scongiurato la base di fare un’altra scelta.
Al
primo confronto in parlamento con Cameron, in ottobre, Corbyn rompe con
la tradizione: pone domande inviategli da comuni elettori, invece di
affrontare il premier in un autentico duello. Di tradizioni, nei mesi
seguenti, ne infrange altre: non canta l’inno nazionale a una cerimonia
per i caduti di guerra (per non pronunciare, lui anti-monarchico, le
parole «Dio salvi la regina»); rifiuta lo “small talk” con Cameron, la
chiacchiera di cortesia, quando se lo trova accanto per l’inaugurazione
del parlamento; indossa abiti spaiati invece del completo scuro
d’ordinanza dei politici, e se proprio deve mettere una cravatta, la
predilige rossa. Minuzie rispetto a polemiche più sostanziali: a
novembre, in nome del pacifismo, vota contro l’intervento militare nei
territori dell’Is in Siria, scontrandosi con buona parte del suo stesso
partito.
Lo stesso mese, dopo gli attentati terroristici a Parigi,
afferma che non darebbe ordine alla polizia di sparare a vista in caso
di un attacco simile a Londra; in aprile sospende in ritardo e a
malincuore Ken Livingstone, suo vecchio amico e a lui politicamente
vicino, nonostante accuse di antisemitismo («anche Hitler era sionista»,
aveva detto l’ex sindaco di Londra).
In maggio arriva la botta
delle elezioni amministrative: il peggior risultato della storia per il
Labour, che arretra in Inghilterra e Galles, piazzandosi addirittura al
terzo posto in Scozia. Crescono gli iscritti, tra cui molti giovani,
motivati dal suo idealismo, ma fra la popolazione il partito non dà
segno di poter riconquistare la maggioranza e il potere. Infine, nei
giorni scorsi, il referendum sull’Unione Europea: Corbyn si batte senza
passione per restare nella Ue (del resto votò contro perfino nel
referendum del 1975 sul Mercato comune europeo). E quando vince Brexit
commenta che bisognerà accettarne le conseguenze difendendo al meglio i
lavoratori, senza disperarsi più di tanto. Né si è disperato, ieri,
davanti al voto di sfiducia dei suoi deputati, pronto a ricandidarsi.
Anche a costo di spaccare la sinistra.