Repubblica 29.6.16
L’azzardo di Cameron che Palazzo Chigi non può permettersi
Il voto di ottobre: meglio evitare conseguenze irrimediabili e autolesioniste
Il referendum, Mattarella e il valore della stabilità
Alle cancellerie continentali piace un’Italia riformata e più dinamica
di Stefano Foilli
Alle
cancellerie continentali piace un’Italia riformata e più dinamica Il
voto di ottobre: meglio evitare conseguenze irrimediabili e
autolesioniste
UN articolo sul “Financial Times” di Wolfgang
Munchau inquadra l’Italia come “la prossima tessera destinata a cadere
nel domino europeo”. E stabilisce il nesso più insidioso: quello fra il
nostro referendum costituzionale d’autunno e la consultazione britannica
sulla Brexit. Renzi come Cameron, in altre parole: con il rischio che
una sconfitta del presidente del Consiglio produca effetti
destabilizzanti non solo per l’Italia, ma per l’intera Eurozona.
Si
tratta, come è ovvio, di un’opinione, benché autorevole. Che tuttavia
coglie un punto. Fino al voto in Gran Bretagna, l’eccessiva
drammatizzazione del referendum sulla Costituzione era un errore tutto
sommato domestico. Un errore che lo stesso premier aveva cominciato a
correggere all’indomani dei risultati non esaltanti delle elezioni
comunali. Dopo la Brexit, si rischia realmente l’effetto domino. La
possibilità che il malcontento dell’elettorato si scarichi sulla riforma
costituzionale è tutt’altro che irrisoria. Anche al di là della Manica i
cittadini britannici hanno espresso il loro malessere sociale senza
troppo riflettere sulle conseguenze delle loro scelte.
In autunno -
lo dice Munchau, ma è un punto di vista diffuso - è plausibile che si
crei nelle urne una convergenza anti-governativa che non terrà conto del
merito della riforma e si preoccuperà solo di colpire il premier in
carica. Se è così, il dato positivo è che il referendum non è dietro
l’angolo. C’è ancora parecchio tempo, soprattutto considerando che la
data non è ancora stabilita e potrebbe anche essere fissata dopo
l’approvazione della legge di stabilità. È evidente, in ogni caso, che
la Brexit ha cambiato le coordinate sullo scenario europeo.
Da un
lato, ha spostato l’attenzione su un orizzonte più vasto, collocando
l’Italia a pieno titolo all’interno di una dinamica sovranazionale.
Dall’altro, ha messo in luce le nostre peculiari fragilità in un momento
in cui l’Europa viene scossa con violenza. Ne deriva che oggi non è una
buona idea - e forse non lo era nemmeno all’inizio trasformare il
referendum in una sorta di ordalia tesa a dividere il paese fra
conservatori e progressisti. L’azzardo di Cameron è risultato perdente,
difficilmente l’Unione potrebbe sopportare un’altra scommessa persa.
ECCO
allora che il percorso verso il referendum s’intreccia più che mai con
il tema della stabilità. Non c’è dubbio che le cancellerie continentali
vedono con favore la prospettiva di un’Italia riformata e più dinamica.
Ma sullo stesso piano pongono l’esigenza della stabilità a Roma,
soprattutto ora che l’Unione precipita nell’incertezza. Nell’intervista
di ieri al direttore della “Stampa” il presidente della Repubblica non
ha mai citato il referendum, attenendosi alla linea di riserbo seguita
fin qui e motivata con la necessità di rispettare la dialettica politica
senza mai discriminare fra italiani del Sì e italiani del No.
L’intervento
di Mattarella è però un implicito quanto palese invito a preservare il
valore della stabilità, così che l’Italia possa offrire un contributo di
concretezza alla nuova stagione europea. E anche la lettura dello
scenario internazionale, dal Medio Oriente ai rapporti con la Russia,
presuppone un’Italia abbastanza salda sul piano politico: in caso
contrario, nessun ruolo di rilievo avrebbe senso. Sembra di capire, in
altre parole, che Mattarella non farà mancare il suo consiglio per
evitare il cortocircuito fra Brexit e referendum costituzionale. Poi
deciderà il presidente del Consiglio quale linea adottare: se insistere
nel chiedere una specie di voto di fiducia agli italiani, ossia un
plebiscito pro o contro la sua leadership. Ovvero se riportare la
consultazione nell’alveo previsto dalla Carta: un referendum
confermativo delle regole neutre votate dal Parlamento.
È chiaro
che un eventuale “no” popolare alla riforma avrebbe conseguenze sul
governo, come notava anche Napolitano. Ma il problema è far sì che tali
conseguenze non siano irrimediabili e autolesioniste, come potrebbe
accadere in caso di dimissioni di Renzi senza che sia pronta una rete di
sicurezza.