Repubblica 28.6.16
Campania, ancora violenza
Lo stupro di gruppo non è una ragazzata
di Michela Marzano
QUANDO
una ragazza viene stuprata da un gruppo di coetanei — come accaduto nel
Salernitano — in Francia si utilizza il termine tournante che,
letteralmente, significa “far girare”. Espressione forse brutale per
designare uno stupro, ma anche molto efficace. Visto che ciò che accade
quando un branco di maschi violentano a turno una ragazza è proprio
questo: la si fa “girare” tra amici come se fosse una sigaretta o una
lattina di birra.
LA si condivide e ce la si spartisce come se si
trattasse di un semplice oggetto; la si utilizza e la si butta via come
se fosse solo una cosa che appartiene a tutti e che quindi, di fatto,
non appartiene a nessuno. Che problema c’è mai, sembrano pensare questi
ragazzi convinti di non far altro che divertirsi tra compagni, nel
“servirsi” di una donna-oggetto? Chi lo dice che una ragazza che viene
“fatta girare” soffre? “Che c’è di male?”, si chiedeva già il Marchese
de Sade accusato di aver violentato una prostituta. “Non è lì per
questo?”
La filosofa statunitense Susan Brison, raccontando la
violenza sessuale di cui lei stessa era stata vittima da giovane,
definisce lo stupro come un “assassinio senza cadavere”. Una violenza
devastante che distrugge ogni riferimento logico e da cui è estremamente
difficile riprendersi anche dopo molti anni; anche quando le tracce
esterne sono ormai quasi del tutto scomparse. Quando si viene
violentate, spiega Susan Brison, l’abisso della disintegrazione interna
resta talvolta per sempre. Esattamente come restano la paura e la
sensazione di impotenza, la difficoltà di incollare i cocci di
un’integrità sbriciolata e l’impossibilità di raccontare agli altri
quello che si è veramente vissuto. Ci vogliono anni per poter riuscire a
integrare questo “pezzo di vita” all’interno di una narrazione
coerente. E, per poterlo veramente fare, c’è bisogno che qualcuno
ascolti, anche quando i ricordi sembrano incongrui; che qualcuno
accompagni, senza domandare nulla. Anche perché l’umiliazione subita
viene spesso rinforzata dal sentimento di impunità di quegli aggressori
che faticano a rendersi conto della gravità del proprio gesto.
Se
l’uomo, “per natura”, penetra, perché la donna dovrebbe soffrire
nell’essere penetrata? Se l’uomo, “per natura”, è predatore, perché la
donna si dovrebbe rifiutare di essere trattata come una preda? Tanto più
che, quando ci si ritrova in gruppo, sembra evidente seguire il
movimento collettivo e comportarsi come gli altri: se lo fai tu, allora
lo posso fare anch’io; se lo facciamo tutti, non c’è niente di male. E
poi non si tratta, in fondo, di una semplice ragazzata? Non è un solo un
gioco? Perché non ci si dovrebbe poter divertire almeno quando si è
giovani?
E allora, ancora una volta, si spalanca il capitolo della
prevenzione e della decostruzione degli stereotipi di genere,
dell’educazione all’affettività e della cultura del rispetto. Gli stupri
continueranno ad esserci non solo finché non sarà chiaro a tutti che il
corpo della donna non è a disposizione di chiunque e che ogni atto
sessuale si giustifica e si fonda sempre e solo sul reciproco consenso,
ma anche fino a quando ci sarà chi continuerà a banalizzare questi
episodi di violenza estrema parlando di “ragazzate” o di “momenti di
debolezza”, come purtroppo accade ancora oggi, giustificando così
l’ingiustificabile.
Il sesso non è un gioco. Cioè sì, è anche un
gioco. Ma solo se a giocare non sono solamente alcuni; solo se tutti
sono d’accordo sulle regole; solo se una ragazza può divertirsi
esattamente come si diverte un ragazzo. Altrimenti il gioco cessa, e si
tratta solo di violenza e di brutalità, di dominio e di prevaricazione.
Una violenza e una brutalità che non rispettano la persona che si ha di
fronte, riducendola a mero oggetto. Un dominio e una prevaricazione che
possono cessare solo a patto che si capisca che nessuno è a disposizione
di nessuno e che ogni azione che si compie ha delle conseguenze sulla
vita degli altri. Soprattutto quando si parla della violenza sessuale
perpetrata su una ragazza che si “fa girare” tra amici come se si
trattasse di una sigaretta o di una lattina di birra pensando che non si
stia facendo niente di male. Dimenticando (o non avendo mai imparato)
che le frontiere del corpo sono le frontiere dell’io. E che l’io è
sempre inviolabile. A meno di non cancellarne per sempre l’irriducibile
umanità.