Corriere 28.6.16
Perché siamo poco multietnici
di Dario Di Vico
Basta
guardare gli Europei di calcio per fotografare la differenza tra noi e
gli altri Paesi in materia di immigrazione. Le Nazionali di Germania,
Francia, Belgio, Svizzera sono zeppe di calciatori dai nomi palesemente
stranieri e il football diventa così la vetrina del carattere
multietnico delle rispettive società. Noi siamo ancora agli oriundi,
ovvero ai sudamericani di ceppo italiano come ai tempi di Sivori e
Angelillo. Il motivo, come detto, è semplice: la presenza delle seconde
generazioni è in Italia decisamente più bassa che nelle lande del Centro
e Nord Europa perché da noi l’immigrazione di massa è iniziata negli
Anni 90 ed è esplosa solo nel 2000. Ad oggi i minori stranieri nati in
Italia dal ‘93 al 2014 sono circa un milione, l’11% di tutti gli under
18 presenti nel Belpaese e toccheranno la quota del 20% non prima del
2029.
Per una volta abbiamo dunque almeno dieci anni per
affrontare con tempestività tutti i problemi (a cominciare da una
legislazione arretrata) che sono legati all’inclusione di giovani legati
identitariamente ad altri ceppi culturali e che però diventando «nuovi
italiani» si aspettano di poter aver chance analoghe a quelle dei loro
coetanei indigeni. Quando questa operazione di inclusione non si compie
(e spesso va proprio così) si viene a formare quello che i sociologi
sono abituati a chiamare «effetto banlieue», un sentimento di
frustrazione profondo che genera a sua volta risentimento e
contrapposizione. In parole povere si crea un’altra disuguaglianza,
perché per un Pogba che diventa un protagonista dello star system ci
sono migliaia e miglia di coetanei costretti a vivere nella marginalità.
Secondo
il Censis anche l’immigrazione però si è in qualche maniera modellata
sulla struttura molecolare del nostro Paese e così grazie a una
diluizione della novità ad oggi non si sono create concentrazioni di per
sé ingovernabili. Che le contraddizioni restino però in agguato ce lo
suggerisce una successiva ricognizione: l’etnia con il maggior numero di
teenager nati in Italia è quella cinese e proprio in questo ambito
abbiamo visto maturare interessanti novità rappresentate dalla nascita
di un associazionismo delle seconde generazioni (Associna), che ha
saputo destreggiarsi tra conflitti con le proprie famiglie e inserimento
nella vita civile e politica italiana. Secondo però un’indagine
dell’Istat tesa a monitorare gli «indicatori di vicinanza alla cultura
italiana» solo 29,2% giovani cinesi si sentono italiani e una minoranza
(il 28,1%) parla italiano molto bene. Si sentono più italiani invece non
solo albanesi e rumeni ma pure ucraini e moldavi e tutti i giovani
stranieri di etnia non cinese hanno grande dimestichezza con la nostra
lingua in una misura doppia rispetto ai coetanei con genitori nati nel
Paese di Xi Jinping.