Repubblica 28.6.16
Lo sconfitto.
I militanti gli contestano il “pragmatismo”
Tutti contro Iglesias “Ha sbagliato strategia”
La direzione del partito si è riunita a porte chiuse per valutare l’esito disastroso dell’alleanza con i comunisti
di Alessandro Oppes
MADRID.
Nell’ora della depressione, non ancora smaltiti i postumi della
sconfitta, il contrasto appare stridente. Eccessivo, esagerato questo
enorme Teatro Goya, sulle rive del Manzanarre, dove Podemos era riuscito
a raccogliere domenica sera 400 giornalisti di tutto il mondo sull’onda
di un messaggio fallace che sembrava proiettare il partito verso la
conquista della Moncloa. Appena un anno fa, quando c’era davvero
qualcosa da celebrare - la conquista dei governi municipali di Madrid e
Barcellona - Pablo Iglesias aveva parlato in una sala stipata di
cronisti nella minuscola sede di un’organizzazione ecologista di
Lavapiés, in una viuzza di quel quartiere multietnico dove il progetto
del partito “anticasta” (allora amavano farsi chiamare così) aveva preso
corpo tra le librerie Traficantes de Sueños e Marabunta e locali come
El Aguardiente o El Juglar. Altri tempi, quando il messaggio di Pablo
“el coletas” (“il codino”) era chiaro e le origini direttamente legate
all’eredità del movimento degli “ indignados” non erano in discussione.
Un abisso rispetto alla linea di moderazione forzata quella secondo cui
«il pragmatismo è una strategia per andare al governo» che ora non pochi
militanti cominciano a contestargli sui social network.
Il
risveglio dopo il “fracaso”, la sconfitta almeno momentanea di un
progetto alternativo, è duro e i dirigenti “viola” non sono capaci di
occultarlo. Di primo mattino, l’avviso secco arriva via mail: «Non si
offriranno interviste individuali né partecipazioni a programmi
radiofonici o televisivi. Un saluto e molte grazie». Prima di parlare,
hanno bisogno di riflettere, anche se l’analisi di quello che è successo
non può essere liquidata in poche ore. Comunque la direzione di Podemos
si riunisce a porte chiuse all’ultimo piano della sede di Calle
Princesa, con Iglesias avvilito in una inconsueta camicia a quadri,
smessa ormai la cravatta “presidenziale”. L’alleato che non ha portato
nemmeno un voto (anzi il sospetto è che il patto elettorale abbia
danneggiato entrambi), Alberto Garzón di Izquierda Unida, riunisce i
suoi al lato opposto della città, nella sede di Calle Olimpo 35, dove
l’esecutivo comunista, deluso, insiste però sul fatto che «la confluenza
è stata una buona idea, è l’unico cammino possibile». Per il momento,
però, ognuno in casa propria. In attesa di capire anche come la
prenderanno all’interno di Podemos.
Il compito ingrato di fornire
le prime spiegazioni spetta al segretario organizzativo Pablo Echenique,
costretto a rimettere piede nello scenario ormai dimesso del Teatro
Goya, solo su un palco dove si respira un’aria funebre. Le analisi di
Podemos ricalcano i canoni di quella che hanno sempre definito la
«vecchia politica»: «Lo spazio di cambiamento che rappresenta Unidos
Podemos si è consolidato», dice Echenique, senza fare menzione di quel
milione abbondante di suffragi persi lungo il cammino. Poi, la solita
stoccata al Psoe, colpevole di aver «ingrassato la destra» con i suoi
attacchi alla formazione di Iglesias. Se il destino è restare
all’opposizione, la prima risposta strategica sembra quella di
continuare a condere lo spazio della sinistra ai socialisti. Ma la
stabilità del movimento “viola” è tutt’altro che garantita. Si sa che il
numero due del partito, Iñigo Errejón, aveva visto con perplessità sin
dall’inizio il patto con i comunisti proposto da Iglesias. Il primo a
dare uno scossone è lo scomodo fondatore di Podemos, Juan Carlos
Monedero, l’ex-consulente di Hugo Chávez che rappresenta l’ala dura del
partito. Accusa Iglesias di un «discorso vuoto abbellito dagli orpelli
delle apparizioni televisive». Tutto inutile se non si punta su una
“vera alternativa”. Non è un mistero che Monedero sia sempre stato
scettico sulla presunta svolta socialdemocratica, contenuta in un
programma elettorale presentato sotto forma di una bizzarra rivista che
richiamava graficamente le pagine di un catalogo Ikea.
Sulla
spianata del museo Reina Sofia, dove domenica notte i militanti delusi
avevano comunque atteso fino a tardi Iglesias e i suoi per dare il
segnale di un orgoglio di appartenenza, è finita con i pugni chiusi al
cielo sulle note di “ El pueblo unido jamás será vencido”. Poca voglia
di socialdemocrazia svedese, come sulla combattiva app di Telegram,
“Guerrilla”, scomparsa all’improvviso nella notte dopo aver bombardato
per settimane migliaia di follower con accesi proclami propri della
sinistra radicale.