martedì 28 giugno 2016

La Stampa 28.6.16
Rajoy ci prova, no dei socialisti
Il leader popolare: “Questa volta non ci sarà instabilità, riuscirò a formare un governo” Ciudadanos è in bilico, ma se dicesse sì diventerebbe decisiva un’astensione socialista
Il premier in trionfo nonostante la campagna contro il Pp corrotto
Valencia, Granada, Madrid: il partito vola nelle aree dove è stato più colpito dalle inchieste
di Marco Bresolin

Ieri mattina Mariano Rajoy si è svegliato con un sorriso che non aveva da tempo. Nelle orecchie risuonava ancora la versione merengue dell’inno del Partito Popolare che domenica sera ha fatto da colonna sonora ai festeggiamenti post-voto nella sede di calle Genova. Ha atteso l’apertura delle Borse e, dopo aver registrato un ottimistico +2,75% sui listini spagnoli, ha avuto una serie di colloqui telefonici con le principali cancellerie europee. «Questa volta non ci sarà instabilità - ha ripetuto - riuscirò a formare un governo». Ha fatto i suoi conti, il premier spagnolo. Poi però sono arrivati quelli dell’oste, la Borsa ha cambiato segno, e l’euforia si è un po’ ridimensionate. I socialisti hanno ripetuto che loro non lo vogliono al governo e che dunque non favoriranno il suo insediamento «né in modo attivo» (votandogli la fiducia), «né in modo passivo» (con un’astensione). Lo stesso ha fatto Albert Rivera, ma questo è l’ultimo dei problemi: il leader di Ciudadanos nell’arco della mattinata ha cambiato idea almeno un paio di volte.
Rajoy però è convinto di poter mettere insieme una maggioranza autonoma: 137 seggi li ha il suo partito, 32 quello di Ciudadanos, che aggiunti ai 5 del Partito Nazionalista Basco e a quello eletto con il Partito delle Canarie portano la somma a quota 175, uno meno della maggioranza assoluta. Basterebbe l’astensione di un solo deputato per avere la fiducia alla seconda votazione. E c’è già il nome di questo «Responsabile»: si tratta di Pedro Quevedo, deputato di Nueva Canarias, eletto nelle liste del Psoe, ma mantenendo la sua autonomia. Ha già fatto sapere di essere pronto ad astenersi.
Prima di tutto, però, Rajoy vuole parlare con Pedro Sanchez. Per offrire ai socialisti la possibilità di formare una grande coalizione o, in subordine, chiedere la loro astensione per non ostacolare il governo di centrodestra e garantire stabilità. Per convincerli userà la parola «responsabilità»: la Spagna, dice, non può permettersi un terzo turno elettorale nel giro di un anno. «Sarebbe grottesco» dice il presidente del governo in funzione.
Ha già pronta la tabella di marcia: il 19 si riunirà il Parlamento e secondo il premier già «alla fine di luglio o all’inizio di agosto» ci sarà un governo. Sì, ma con chi? «Vorrei governare con un appoggio sufficiente» ha detto riferendosi alla grande coalizione, che somma 222 seggi (più, eventualmente, quelli di Ciudadanos). «Diversamente governeremo con l’appoggio che ci hanno dato gli spagnoli e magari grazie a qualche patto preciso», vale a dire chiedendo l’astensione dei socialisti. Al prezzo di qualche riforma condivisa, tra tutte quella sulla legge elettorale.
A Ferraz, sede del Psoe, il messaggio che esce dalla riunione della dirigenza è chiaro: «Nessun tipo di sostegno a Rajoy» scandisce Antonio Hernando, portavoce in parlamento. Il rischio di pagare questa mossa in termini elettorali è altissimo, per un partito che è già al minimo storico di deputati (85) e ha evitato in extremis il sorpasso di Podemos. Ma il coro non è unanime: il presidente dell’Estremadura, Guillermo Fernandez Vara, dice che Sanchez non dovrebbe ostacolare il governo del Pp. Cesar Luena, braccio destro del segretario, ribadisce invece che il partito non ha alcuna intenzione di farlo. Ci penserà Pedro Quevedo, lo Scilipoti di Rajoy.