Repubblica 28.6.16
Festival di Bologna
Bellocchio vs Bertolucci gli eterni nemici amici
I due colossi del cinema italiano simboli della nostra “nouvelle vague” negli anni 60 si incroceranno più volte a Bologna
di Emiliano Morreale
BOLOGNA
UN tempo Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci erano considerati due
registi rivali. Forse anche per motivi geografici, campanilistici: di
Parma uno, di Piacenza l’altro. E c’era addirittura chi li paragonava
calcisticamente a Mazzola e Rivera, più o meno loro coetanei. Al
festival “Il Cinema Ritrovato” di Bologna (dove mi trovo a coordinare
incontri e film) mi accorgo che, per una curiosa coincidenza, nei
prossimi giorni i due s’incroceranno più volte. Non sarà un incontro
ufficiale: ma Bertolucci presenterà Ultimo tango a Parigi all’interno di
un omaggio a Marlon Brando e parteciperà a un incontro su Chema Prado,
storico cinetecario spagnolo, mentre Bellocchio (presidente della
Cineteca di Bologna che organizza il festival) presenterà I pugni in
tasca e dialogherà col critico francese Michel Ciment.
A metà anni
60, i due registi erano stati i nomi di punta del nostro cinema
giovane, gli unici forse che potessero rappresentare una nouvelle vague
italiana. Nel ‘62 Bertolucci esordiva con La commare secca, nel ‘64
arrivava Prima della rivoluzione.
L’anno dopo, I pugni in tasca
diventò un “caso”. Da allora, attraverso il ‘68, gli anni 70 e oltre, le
loro carriere sono a volte state viste in parallelo, e poi sono
diventate diversissime, uno andando verso Hollywood, l’altro verso la
psicanalisi. Nei film, si sono rimandati allusioni nemmeno tanto
cifrate. Bertolucci faceva ripetere a un suo personaggio di Partner
(1968) il vecchio adagio «Di Piacenza l’Italia può far senza».
Bellocchio, durante la seduta spiritica di Buongiorno, notte, faceva
evocare lo “spirito Bernardo” che come unico indizio sul covo delle Br
diceva: «La luna…» (che è il titolo del film di Bertolucci proprio del
1978).
I due si ritroveranno simbolicamente accanto alla Mostra di
Venezia nel 2003, a fare i conti entrambi col passato recente.
Bellocchio presentando in concorso Buongiorno, notte che reimmaginava il
sequestro Moro, e Bertolucci, sotto la segreta ispirazione di Cocteau,
tornando al ’68 con
The Dreamers. Negli ultimi anni, i due hanno
non di rado partecipato a incontri insieme. Il più noto dei quali fu la
consegna del Leone d’oro alla carriera a Bellocchio, dalle mani proprio
di Bertolucci. Rivalità? Forse un gioco, certo senza i toni del
leggendario “conflitto” Visconti/Fellini (che pare fosse davvero
feroce). Ma insomma, tra gli appassionati, il gioco “Bertolucci o
Bellocchio?” è sempre di moda.
Oggi, qualcosa di simile avviene
per Garrone vs Sorrentino; sarà che in Italia la mentalità derbystica è
molto diffusa anche al cinema. In realtà però il paragone tra i due
registi non è privo di utilità. I due erano partiti come figli ribelli
della borghesia, giovanissimi e talentuosissimi (ed entrambi,
giovanissimi, cominciarono come poeti), hanno anticipato i fermenti del
‘68 e poi hanno avuto un rapporto contraddittorio con politica, privato,
famiglia, tradizione italiana. E, da buoni emiliani, figli del “paese
del melodramma”, in entrambi risorge continuamente il fantasma
dell’opera lirica, di Verdi anzitutto: già in Prima della rivoluzione
c’era Macbeth, nei Pugni in tasca la
Traviata. Entrambi hanno
giocato molto su un’attrazione/ fobia per i luoghi chiusi, di rifugio o
di reclusione (fino all’ultimo film di Bertolucci e alla scena finale
dell’ultimo di Bellocchio...). Entrambi, al di là dei temi e delle
ossessioni, hanno mantenuto un’ispirazione sorgiva, una libertà in fondo
giocosa e infantile di fare cinema.