martedì 28 giugno 2016

Repubblica 28.6.16
Monitor e placebo
Il paziente si accomoda su una poltrona, si rilassa, e guarda lo schermo del computer davanti a sé. Sul monitor scorre il tracciato generato dalle sue onde cerebrali, registrate dagli elettrodi che ha sul capo. Così, osservando in diretta l’attività del suo cervello, il paziente può cercare di modificare l’ampiezza o la frequenza delle onde: è il cosiddetto neurofeedback, una tecnica complementare e non invasiva oggi proposta sempre più spesso per il trattamento di condizioni come i disturbi d’ansia o l’alcolismo, ma anche depressione o deficit di attenzione iperattività (ADHD).
Eppure, dicono oggi alcuni ricercatori della McGill University di Montréal, in Canada, esaminando la letteratura scientifica disponibile, risulta evidente come i principali benefici della tecnica siano dovuti all’effetto placebo. Scrivono infatti Robert Thibault e Amir Raz su
Lancet Psychiatry:
un neurofeedback fasullo, cioè condotto mostrando un elettroencefalogram ma casuale, ottiene sul paziente gli stessi risultati di uno vero, cioè con la possibilità di interagire sul tracciato. «I pazienti sono disposti a spendere centinaia di dollari e mesi di tempo per cercare di “rieducare” il proprio cervello con il neurofeedback, ma si tratta di processi estremamente difficili da controllare».
Le prossime ricerche, continuano i due studiosi, dovrebbero concentrarsi sulle influenze sociali e psicologiche alla base del successo di questi trattamenti, cercando di capire come utilizzarle al meglio, in modo scientifico ed eticamente accettabile.
e. m.