lunedì 27 giugno 2016

Repubblica 27.6.16
Perché questo è il tempo di riscoprire la confessione
Non riconoscere il proprio male significa rinunciare al principio di responsabilità E autoassolvere la condotta dell’ego
A prescindere dal sacramento, già nel 1892 Oscar Wilde scriveva che “il pentimento è decisamente fuori moda”
di Vito Mancuso

«Il mondo va di male in peggio: ecco un lamento antico come la storia, antico anzi come la poesia, più antica della storia, antico infine come la più antica di tutte le leggende poetiche, la religione dei preti»: così scriveva Kant nel 1792 all’inizio del saggio sul male radicale della natura umana. È la convinzione dominante anche ai nostri giorni, attraversati da una sensazione di continua decadenza, talora dalla paura di un’imminente catastrofe. La crisi (economica, politica, sociale, culturale) stende i suoi tentacoli ovunque. Il declino appare
dal profilo dei politici espressi dalla società contemporanea, per la gran parte incapaci di ragionare in termini di giustizia e di bene comune, e ancor più dal fatto che quando qualcuno oggi azzarda ragionamenti basati su quegli ideali riceve subito l’antipatica etichetta di moralista, che al massimo può fare il filosofo o il prete, ma non certo il politico e meno che mai l’economista. Ma c’è un segnale ancora più preoccupante: è l’anestesia della mente giovanile, sempre più noncurante dello stato del mondo, supremamente disinteressata a tutto ciò che non passi attraverso la mediazione dell’incontrastato suo dominatore, il cosiddetto smartphone, divenuto una smartprison, una prigione elettronica della mente. Ma al di là delle forme particolari di prigionia, la questione di fondo è quella evocata da Kant: assistiamo a una progressiva decadenza o è sempre stato così?
Basta leggere gli antichi testi dell’umanità per comprendere che, mutate le forme di prigionia, l’umanità nel suo complesso è sempre stata prigioniera. Si potrebbero citare al riguardo molte pagine di Isaia, Geremia, Amos e degli altri profeti, ma è l’intera Bibbia ad affermare che il male dei nostri giorni è radicato nelle origini stesse della società e dell’economia: la Genesi riconduce la fondazione della prima città al primo assassino, Caino, e la nascita dell’economia e dell’arte ai suoi diretti discendenti. Nello stesso periodo in Grecia Esiodo descrive l’inizio della storia come età dell’oro, dicendo però che poi si ebbe una progressiva decadenza che portò dapprima all’età dell’argento, poi all’età del bronzo, poi all’età degli eroi e infine all’età del ferro. Molti secoli prima l’antico Egitto aveva prodotto quello straordinario testo che è Il dialogo del disperato con la sua anima in cui si constata amaramente che «i cuori sono rapaci, la gentilezza è perita, si è soddisfatti del male, il bene è buttato a terra dovunque». Sono parole di 4000 anni fa.
Questa consapevolezza ci preserva da uno sguardo cupo e risentito verso il nostro tempo in quanto peggiore di altri, mettendoci al riparo da una filosofia della storia all’insegna di una progressiva decadenza etica e spirituale dell’umanità. Con questo non intendo difendere lo status quo, sono consapevole di quanto il mondo attuale sia pervaso da iniquità, desidero solo osservare che un mondo giusto non è mai esistito. La figura geometrica della storia non è la retta, né che la si legga verso l’alto come incontrastato progresso né che la si legga verso il basso come incontrastata decadenza; neppure è il cerchio dell’eterno ritorno dell’uguale; è piuttosto la spirale di un processo che si va facendo, non senza tragedie e contraddizioni. Il punto specifico del nostro tempo è un altro: è la difficoltà, forse addirittura l’impossibilità, di confessare il proprio male, dichiarandolo pubblicamente come tale e trovando percorsi di riforma e di espiazione. La condizione della confessione è il pentimento, ma già nel 1892 Oscar Wilde scriveva che «il pentimento è decisamente fuori moda» ( Il ventaglio di Lady Windermere, atto IV). Perché? Perché ci si può pentire e quindi confessare (anche a prescindere dal sacramento) solo se si intravede un orizzonte di bene più grande in base a cui le proprie azioni appaiono negative. Se invece tale orizzonte manca, le proprie tenebre interiori possono benissimo essere scambiate per luci. Le più celebri Confessioni della storia occidentale, quelle scritte da sant’Agostino alla fine del IV secolo, si aprono con questa celebre frase: «Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (I,1). È dal confronto con il tu divino (o con l’ideale del bene e della giustizia, o con il principio-responsabilità, o con altre istanze etiche e spirituali) che nasce l’inquietudine del cuore e quindi il desiderio della confessione. Mancando questo orizzonte più grande, l’ego si giustifica della sua condotta, anche della più meschina. Perché vi sia una confessione, occorre quindi prima una conversione. Ma proprio qui appare la povertà del nostro tempo.
Lo specifico della nostra epoca è la decadenza spirituale quale appare dalla progressiva perdita di fascino della religione, fino al punto di poter ipotizzare che, per la prima volta nella storia, homo sapiens per lo meno in occidente non sarà più homo religiosus. Ma attenzione: tutto ciò non è dovuto all’umanità occidentale divenuta empia e relativista, ma alla sua religione che non ne ha saputo accompagnare l’evoluzione spirituale ed etica.
La modernità ha presentato innumerevoli ricerche sulla vera identità di Gesù e sulla vera essenza del cristianesimo. Perché? A causa della generale convinzione espressa così da Albert Einstein: «Se si purga il cristianesimo come lo ha insegnato Gesù Cristo da tutte le aggiunte successive, in particolare quelle dei preti, ci si ritroverà con un insegnamento capace di curare tutti i mali sociali dell’umani- tà» (da Il mondo come io lo vedo). Anche oggi le persone più sensibili avvertono un grande bisogno di restaurare e riscoprire le forme originarie, di togliere alla spiritualità le pesantezze imposte dal potere per controllare le anime e i corpi dei fedeli.
Tutti oggi denunciano il male sociale di cui è preda l’umanità occidentale, pochi ne indicano i possibili rimedi. Io constato che l’anima contemporanea ha sete di ritrovare una connessione organica con l’ordine del mondo, un’autentica spiritualità che è new age solo in quanto è ben prima old age, cioè ritorno alla religione universale dell’umanità. È solo dalla connessione organica e fiduciosa con il mondo naturale che gli esseri umani possono ritrovare il coraggio di essere liberi: liberi dal potere economico e politico, liberi dal pervadente erotismo mercantile che imprigiona i corpi rendendoli merci, liberi dalle ossessive connessioni alla rete che li irretisce, di nuovo felici di stare qualche volta da soli, di tacere, di respirare, di essere. Diceva il grande teologo gesuita Karl Rahner che la religione del terzo millennio o sarà mistica o non sarà. Aveva ragione, ma forse noi dobbiamo aggiungere che l’umanità nel suo complesso o sarà mistica (cioè capace di non farsi rubare il silenzio e la solitudine interiore) o non sarà.