sabato 25 giugno 2016

Repubblica 25.6.16
Da Franceschini a FI contro l’Italicum ora c’è un esercito
Renzi resiste, ma è sempre più isolato. Dopo la minoranza anche i cattolici Pd vogliono cambiare
di Goffredo De Marchis

ROMA. Matteo Renzi non vuole cambiare nulla dell’Italicum, ma tutti gli altri (quasi tutti) sì. Ai soliti noti — Angelino Alfano, Denis Verdini, Silvio Berlusconi che sogna di ricostruire il centrodestra sotto la sua ala — si affianca, fin dall’inizio, la sinistra interna del Partito democratico (Bersani). Adesso si aggiunge anche l’intera area cattolica del Pd. La riunione della riattivata corrente di Dario Franceschini (alla quale ha partecipato pure Piero Fassino) si può sintetizzare così: «Bisogna convincere Matteo a ragionare sul referendum costituzionale e sulla legge elettorale». Tesi poi esposta in televisione, ad Agorà, dal capogrupo dem in commissione Affari costituzionali Emanuele Fiano: «Va fatta una riflessione su quella norma. Può esserci un’apertura a dei cambiamenti». Ma quali?
Il sogno del Pd è, da sempre, il doppio turno di collegio sul modello francese che garantisce una maggiore rappresentatività. Renzi, anche in queste ore, dopo il brutto risultato delle comunali, risponde: «Chi lo vota in Parlamento?». In più, rispetto all’Italicum, sarebbe un totale ribaltamento di filosofia. Il premier può permettersi non semplicemente di cambiare rotta, ma di rottamare la sua idea originaria? I fedelissimi rispondono di no, anche quelli che sono favorevoli ad ascoltare le sirene esterne. Come il vicesegretario Lorenzo Guerini, aperturista, e come, si dice, il braccio destro dell’ex sindaco di Firenze, Luca Lotti. La soluzione intermedia sarebbe assegnare il premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista, correggendo questa parte della legge. Strada più percorribile, ma la replica di Renzi tiene conto del centrosinistra visto in passato: «Io appartengo alla nuova generazione che ha creduto nell’Ulivo e poi ha visto, con sconcerto, le coalizioni distruggere Prodi e il suo progetto». È un altro no, quindi: «Abbiamo fatto l’Italicum per garantire la stabilità. Se vincono altri, governeranno altri», argomenta il premier.
Ma alla realtà non si sfugge. In questo momento, Palazzo Chigi appare piuttosto isolato nella difesa dell’Italicum. Con il premier ci sono i renziani doc, i Giovani Turchi di Matteo Orfini e, sotto traccia, i 5 stelle, ovvero il partito che non si coalizza mai con nessuno. Stop. Cresce invece una maggioranza parlamentare che punta a far rivivere le coalizioni. Servono ad Alfano, che oggi è alleato del Pd ma non vuole e non può entrare nel Pd. Si è fatto finta che l’incidente dell’altro giorno al Senato (Ncd e Ala hanno votato due volte contro il governo) fosse un problema tecnico. Non è così. Servono al centrodestra, che punta a mettere sotto lo stesso tetto tutte le sue forze sul modello, competitivo, di Stefano Parisi a Milano. Le vuole anche la minoranza del Pd, alla quale però interessa soprattutto il collegamento tra cittadini ed eletti. Miguel Gotor infatti supera anche il doppio turno di collegio: «Temo non sia il sistema adatto in un sistema tripolare. Meglio un turno unico con i collegi e il premio di maggioranza ». Per tagliare fuori Grillo. Il ragionamento dei franceschiniani non è diverso: «Dobbiamo dare ai poli tradizionali la chance di fare alleanze per non scivolare nel populismo». Pesa il recentissimo esito del referendum Brexit.
Fare una capriola del genere ha bisogno di tempo. Qualcuno spera che il 4 ottobre la Corte costituzionale, bocciando in parte l’Italicum, offra il pretesto per le correzioni, senza che Renzi perda la faccia. Ancora meglio sarebbe allungare i tempi del referendum. Non più ottobre ma uno slittamento di qualche mese perché il clima non è dei più favorevoli alla vittoria del Sì. Se n’è parlato anche nel vertice organizzato da Franceschini mercoledì sera. Del resto, fanno notare, c’è una falla nella macchina da guerra renziana per la “madre di tutte le battaglie”. Una falla tale da consigliare un rinvio. Il premier puntava alla raccolta di 500 mila firme di sostegno al referendum entro luglio. Darebbero una forza popolare al quesito, aggiunte a quelle dei parlamentari necessarie per richiedere la consultazione. Con l’attenuante della campagna elettorale delle comunali, al Pd raccontano che i banchetti si sono fermati a meno della metà.