sabato 25 giugno 2016

Corriere 24.6.16
Picconate all’Italicum da un partito in pieno caos
di Massimo Franco

Seppure in modo confuso, stanno arrivando le prime picconate al totem dell’Italicum. Il primo effetto del flop del Pd alle Amministrative è la voglia inconfessabile di cambiare un sistema elettorale lodato fino a pochi giorni fa come un capolavoro intoccabile. Il fatto che di colpo si scopra quanto possa diventare il cavallo di Troia di una vittoria nazionale del Movimento 5 Stelle sta creando un diffuso ripensamento. La certezza di Matteo Renzi di avere costruito un meccanismo quasi perfetto per sbancare le urne vacilla.
Il paradosso è che sono esponenti del M5S come Alessandro Di Battista a dichiarare, con ostentata magnanimità: «Siamo pronti a cambiare l’Italicum, anche se non ci conviene». Ma lo dicono anche alcuni esponenti del Pd, sebbene non Renzi né la sua cerchia di fedelissimi. Questi ultimi sanno che rimettere in discussione il sistema elettorale significa di rimbalzo proiettare un alone di precarietà sulle riforme costituzionali sottoposte al referendum di ottobre. Il timore è un «effetto domino» che partendo dall’Italicum intaccherebbe i «punti irrinunciabili» dell’esecutivo.
Sono quelli sui quali per mesi il premier ha minacciato dimissioni ed elezioni anticipate. Le voci di un rinvio «tecnico» del referendum riflettono il contesto totalmente nuovo che il dopo 19 giugno ha creato. E la richiesta al premier da parte del renziano Matteo Richetti di «chiedere scusa e dire che ha sbagliato» annunciando il ritiro dalla politica se perde, è un altro indizio della confusione. In modo francamente esagerato, la sconfitta alle Amministrative, la trappola referendaria, la crisi economica vengono scaricate solo su Palazzo Chigi e sul suo inquilino.
È come se gli alleati e l’intero Pd non sentissero di avere responsabilità. Il protagonismo di Renzi gli si ritorce contro, a lui e la sua leadership. La «fase nuova» che esponenti della minoranza come Vasco Errani e Roberto Speranza evocano, sembra partire da questa premessa: perfino negando la fiducia al governo su alcuni temi. Recupero di un’identità «di sinistra»; attenzione a una base sociale che nelle periferie cittadine è emigrata verso il M5S o l’astensione. E «alle periferie non interessa il referendum», avverte l’ex segretario, Pierluigi Bersani. «Non sanno cosa sia».
Non bastasse, le Amministrative hanno archiviato l’asse con Denis Verdini e il «partito della Nazione» ma non in Parlamento. Lì l’asse può diventare più ingombrante di prima, facendo pesare numeri esigui ma decisivi. Ieri l’esecutivo è stato bocciato al Senato su un emendamento di FI. E hanno votato con l’opposizione i parlamentari di Verdini e alcuni senatori del Nuovo centrodestra, il partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano: due forze riemerse inquiete dalle elezioni. Forse è solo un avvertimento a Renzi. Oppure l’inizio di uno smarcamento al rallentatore.