Corriere 24.6.16
Picconate all’Italicum da un partito in pieno caos
di Massimo Franco
Seppure
in modo confuso, stanno arrivando le prime picconate al totem
dell’Italicum. Il primo effetto del flop del Pd alle Amministrative è la
voglia inconfessabile di cambiare un sistema elettorale lodato fino a
pochi giorni fa come un capolavoro intoccabile. Il fatto che di colpo si
scopra quanto possa diventare il cavallo di Troia di una vittoria
nazionale del Movimento 5 Stelle sta creando un diffuso ripensamento. La
certezza di Matteo Renzi di avere costruito un meccanismo quasi
perfetto per sbancare le urne vacilla.
Il paradosso è che sono
esponenti del M5S come Alessandro Di Battista a dichiarare, con
ostentata magnanimità: «Siamo pronti a cambiare l’Italicum, anche se non
ci conviene». Ma lo dicono anche alcuni esponenti del Pd, sebbene non
Renzi né la sua cerchia di fedelissimi. Questi ultimi sanno che
rimettere in discussione il sistema elettorale significa di rimbalzo
proiettare un alone di precarietà sulle riforme costituzionali
sottoposte al referendum di ottobre. Il timore è un «effetto domino» che
partendo dall’Italicum intaccherebbe i «punti irrinunciabili»
dell’esecutivo.
Sono quelli sui quali per mesi il premier ha
minacciato dimissioni ed elezioni anticipate. Le voci di un rinvio
«tecnico» del referendum riflettono il contesto totalmente nuovo che il
dopo 19 giugno ha creato. E la richiesta al premier da parte del
renziano Matteo Richetti di «chiedere scusa e dire che ha sbagliato»
annunciando il ritiro dalla politica se perde, è un altro indizio della
confusione. In modo francamente esagerato, la sconfitta alle
Amministrative, la trappola referendaria, la crisi economica vengono
scaricate solo su Palazzo Chigi e sul suo inquilino.
È come se gli
alleati e l’intero Pd non sentissero di avere responsabilità. Il
protagonismo di Renzi gli si ritorce contro, a lui e la sua leadership.
La «fase nuova» che esponenti della minoranza come Vasco Errani e
Roberto Speranza evocano, sembra partire da questa premessa: perfino
negando la fiducia al governo su alcuni temi. Recupero di un’identità
«di sinistra»; attenzione a una base sociale che nelle periferie
cittadine è emigrata verso il M5S o l’astensione. E «alle periferie non
interessa il referendum», avverte l’ex segretario, Pierluigi Bersani.
«Non sanno cosa sia».
Non bastasse, le Amministrative hanno
archiviato l’asse con Denis Verdini e il «partito della Nazione» ma non
in Parlamento. Lì l’asse può diventare più ingombrante di prima, facendo
pesare numeri esigui ma decisivi. Ieri l’esecutivo è stato bocciato al
Senato su un emendamento di FI. E hanno votato con l’opposizione i
parlamentari di Verdini e alcuni senatori del Nuovo centrodestra, il
partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano: due forze riemerse
inquiete dalle elezioni. Forse è solo un avvertimento a Renzi. Oppure
l’inizio di uno smarcamento al rallentatore.