sabato 25 giugno 2016

La Stampa 24.6.16
Un partito in evidente crisi di nervi
di Marcello Sorgi

Matteo Renzi non ci ha pensato neppure un momento, dopo la sconfitta elettorale, ad aprire una trattativa con gli avversari interni che subito hanno cercato di approfittarne. Ma se serviva una conferma alla scelta della linea dura, alla vigilia della direzione di oggi ne è arrivata più di una. La minoranza bersaniana ha convocato un’assemblea nella quale ha ufficializzato la richiesta, già avanzata dall’ex-segretario, di una marcata svolta a sinistra nelle politiche del governo, ha posto la questione della separazione tra la leadership del partito e il ruolo di presidente del consiglio e ha annunciato, per bocca dell’ex-capogruppo dei deputati Speranza, che sulle «questioni sociali» i parlamentari anti-renziani potrebbero non votare più la fiducia.
Un altro psicodramma si svolgeva nel frattempo tra i «giovani turchi», la corrente del presidente del partito, nonché commissario del Pd romano, Matteo Orfini, di cui la ministra della Funzione pubblica Marianna Madia ha chiesto le dimissioni, giudicando fallimentare la sua gestione della crisi Democrat post-Marino e definendolo un «tappo» alla liberazione di nuove energie interne nel partito romano. Conseguenze: reazioni indignate degli amici di Orfini e intervento pompieristico del vicesegretario Guerini, dall’effetto quasi nullo, se non quello di far capire che il pugnale di Madia non era stato armato da Renzi.
Di fronte a un partito in preda a un’evidente crisi di nervi, dopo il disastro di Roma e Torino e la perdita di metà dei novanta comuni che amministrava prima del 19 giugno, Renzi si prepara dunque a riproporre l’analisi della sconfitta già espressa a caldo dopo i risultati (non è un problema di linea politica, ma di cambiamento insufficiente rispetto alle novità proposte dai 5 stelle), e a tenersi a distanza dalle beghe precongressuali tra le correnti, che per la verità creano qualche problema anche nella maggioranza che sorregge la segreteria. Si prepara un piccolo rimpasto al vertice del Pd, ma sarà ancora Renzi a decidere chi entra e chi esce. E se la minoranza davvero vuol far cadere il governo, si accomodi: si accorgerà che non è così facile metterne su un altro.