Repubblica 25.6.16
Jacques Attali
“Questo è l’inizio della fine dell’Europa il futuro è a rischio”
Se non ci sarà un cambio di passo tra qualche decennio potrà esserci una nuova guerra franco-tedesca
intervista di Anais Ginori
PARIGI.
«Potrebbe essere l’inizio della fine per la Ue». Quando Jacques Attali
era consigliere all’Eliseo di François Mitterrand, negli anni Ottanta,
ha assistito alle difficoltà dell’avanzamento dell’Europa, affrontando
anche le resistenze britanniche. Già all’epoca Thatcher chiedeva una
revisione dei contributi inglesi per la Ue, scontrandosi con il governo
di Parigi. «Era una relazione tormentata, difficile — ricorda Attali —
ma discutevamo su progetti veri, forti: esattamente quello che è mancato
negli ultimi anni». L’intellettuale francese non è tra quelli che
pensano che l’addio di Londra faciliterà un processo di integrazione.
«Fino all’ultimo sono rimasto convinto che avevamo bisogno della Gran
Bretagna, ma non possiamo decidere noi al posto del popolo britannico.
Brexit è secondo me un suicidio. Adesso a noi spetta solo prenderne atto
e adattarci alla nuova situazione».
Cosa cambierà per la Ue?
«Il
voto britannico rappresenta una presa di coscienza. Ora è chiaro che
l’adesione alla Ue non è irreversibile. Quel che è successo mi fa
pensare a molte storie di divorzio. Quando una persona decide di
andarsene da una coppia logorata, l’altra realizza improvvisamente che
avrebbe dovuto fare più sforzi. Anche nel caso britannico, i segnali
precursori sono stati colpevolmente ignorati».
Troppo tardi per reagire?
«A
meno che i governanti dimostrino di aver capito quello che chiedono i
popoli europei, in particolare sul tema della sicurezza,
dell’immigrazione, dell’occupazione e della partecipazione democratica.
Se non ci sarà un nuovo progetto di lungo corso, con una visione chiara
per i prossimi vent’anni, allora l’Europa può scomparire».
I leader europei sono pronti per la svolta?
«Per
rispondere alle preoccupazioni delle nostre società bisogna al più
presto lanciare una Difesa comune, intanto subito ai confini,
rafforzando il ruolo di Frontex. E poi sull’esercito, grande progetto
che non è mai stato davvero lanciato. Certo, perdere la potenza militare
britannica è un duro colpo, ma dobbiamo andare avanti lo stesso. Non ci
si può più accontentare di un’Europa fondata sulla libera concorrenza,
così com’è stata immaginata in passato. La Francia insieme alla Germania
e all’Italia devono tracciare un nuovo quadro forte per dare un segnale
sulla sicurezza».
Se ci fosse un referendum in Francia ci sarebbe lo stesso risultato?
«Se
non ci sarà a breve un sussulto al livello europeo, è possibile. In
Francia come altrove. L’avanzamento dell’Europa unita deve essere
accompagnato da un lavoro di informazione. Nella campagna elettorale
britannica si sono sentite falsità, mistificazioni. La stampa ha
pubblicato menzogne incredibili, giocando un ruolo disastroso che non fa
onore a una grande democrazia. Non è giusto dire: ”È tutta colpa
dell’Europa”».
È più facile criticare che difendere la Ue?
«La
tendenza tra molti uomini politici, anche in Francia, è accusare
l’Europa delle proprie debolezze. È una facilità alla quale dobbiamo
resistere. Le conseguenze potrebbero essere devastanti. Ogni volta che
l’Europa si è divisa e dissolta abbiamo avuto delle guerre. Nel 1910,
poi negli anni Trenta. La generazione che ha vissuto i conflitti non c’è
più. E chi è in politica oggi non ha la stessa consapevolezza dei
rischi».
Intanto gli euroscettici brindano.
«Per fortuna in
Francia o altrove non sono ancora al potere. Ma ci sarà un prima e un
dopo Brexit. Dobbiamo rendercene conto e misurare la portata storica di
quello che stiamo vivendo. L’Unione europea è stata costruita a tappe,
in un progresso graduale ma costante. Ci sono state battute d’arresto,
mai regressioni. Adesso per la prima volta torniamo indietro. E si
moltiplicherà la tentazione di imitare l’esempio britannico. Sono
convinto che se non ci sarà un cambio di passo ci incamminiamo su una
strada che porterà tra qualche decennio a una nuova guerra
franco-tedesca».
Nel 2005 c’era stato il ‘no’ al referendum francese del 2005, seguito da quello nei Paesi Bassi: segnali sottovalutati?
«Certo,
non è stata avviata nessuna autocritica, nessuna riflessione.
L’integrazione europea non ha cambiato direzione, a Bruxelles tutto è
continuato come prima, con una priorità sulla concorrenza,
sull’ultra-liberismo, e dimenticando di rafforzare un’unione
democratica, attenta alla giustizia sociale. Gli ultimi ayatollah del
liberismo non sono negli Stati Uniti ma in Europa, a Bruxelles. Le
conseguenze le vediamo adesso».