La Stampa 24.6.16
Dove nasce il risentimento verso i politici
di Stefano Lepri
Immiserimento
dei ceti medi, disagio delle periferie, nuove povertà sono parole
disparate con cui cerchiamo di afferrare ciò che il terremoto elettorale
nei Comuni rivela. Ma bisogna guardarsi da schemi frettolosi, buoni in
altri Paesi.
In Italia la crisi ha caratteristiche proprie; e il
Movimento 5 stelle non somiglia a nessuna delle forze che raccolgono la
protesta altrove.
Altrove esistono «perdenti della
globalizzazione» più facili da identificare come categoria sociale. Nel
voto britannico di ieri, il Nord deindustrializzato a fronte della
Londra ricca. Negli Stati Uniti in campagna elettorale, la classe
operaia bianca i cui redditi sono fermi da forse trent’anni, se non in
regresso.
Nell’insieme dei Paesi avanzati, le disuguaglianze
sociali si sono accresciute, anche gravemente. Che l’1% soltanto della
gente si sia arricchito, e il 99% no, è una forzatura ideologica, però
negli Usa se si corregge in 10% e 90% non si è lontani dal vero, e non
va bene. In più, l’uscita troppo lenta dalla grande crisi toglie
speranza di un futuro migliore.
L’Italia risulta, al contrario,
perdente nel suo insieme; per motivi complessi, probabilmente di origine
soprattutto interna. Il reddito pro capite, già stagnante prima della
crisi, è oggi del 7% inferiore a quello del 2000. Tuttavia, dai dati
Istat e Banca d’Italia non risulta un aumento della diseguaglianza
media.
Bisogna osservare più in dettaglio. Significativo è il
primo dei grafici che compaiono nell’indagine Nomisma sulle famiglie
pubblicata ieri. La «debole ripresa» che risulta dagli indicatori
ufficiali dell’economia i giovani sotto i 35 anni non l’hanno mai vista.
Solo nelle fasce di età superiori si comincia a tornare sopra i livelli
di reddito del 2010.
Tra i giovani, anche chi trova un posto
fisso (ora magari con un contratto a tutele crescenti) guadagna assai
meno, a parità di qualifica, rispetto ai suoi simili di 10 o 20 anni fa.
Sono poi esili le speranze di carriera. Secondo uno studio
dell’economista Michele Raitano ripreso da Nomisma, l’Italia è uno dei
Paesi dove più i figli dei ricchi restano ricchi e i figli dei poveri
restano poveri.
La disuguaglianza dunque non è cresciuta in sé ma
sempre più si eredita; e per chi ha trent’anni il nostro è già un Paese
in rapido declino. Quasi metà dei ragazzi di liceo sognano di
trasferirsi all’estero. D’altronde in Italia sono rari i casi di
arricchimento fulmineo nella finanza o negli affari (pur se destano
scandalo gli stipendi dei capi di certe banche in difficoltà).
Calo
dei redditi e perdita di speranze per i figli, sentiti come fenomeno
collettivo, inducono a confessare ciò che forse prima si celava. Una
risposta come quella sulle accresciute difficoltà a pagare i mutui casa –
in un periodo di tassi di interesse al minimo! - annuncia forse un
atteggiamento più aggressivo nei confronti delle banche. Però il
bersaglio vero è un altro.
In una economia che stenta tutta, come
la nostra, si è diffusa l’impressione che l’unica via per fare denaro in
fretta fosse sfruttare il denaro pubblico, entrando in politica o
facendo affari con i politici. Non avendo nababbi di Wall Street o della
City a fronte delle difficoltà delle piccole imprese e degli stipendi
fermi, il risentimento si è concentrato contro la «casta» dei politici.
In
tutti gli altri Paesi quello che si usa chiamare «populismo» assume
alla fine caratteri riconoscibili o di destra o di sinistra, benché
diversi rispetto al passato. Da noi no: un meccanismo della politica
bloccato, percepito come benefico solo a se stesso, genera una forza di
opposizione dal programma vago il cui unico punto irrinunciabile è fare
piazza pulita dei politici precedenti.