giovedì 23 giugno 2016

Repubblica 23.6.16
Marianna Madia.
La ministra della Funzione pubblica attacca le “filiere di potere” dei democratici nella capitale. “Nelle periferie ci considerano inutili”
“Noi, rottamati dai cittadini Prodi fa bene a richiamarci Orfini a Roma lasci la guida”
intervista di Giovanna Vitale

ROMA. Marianna Madia, unico ministro del Pd nato e cresciuto a Roma, non ci gira intorno: «Il voto ci dice una cosa chiara: nella mia città, che non è l’ultimo borgo d’Italia, siamo stati rottamati dai cittadini. Il Pd non ha saputo ascoltarli. E ci hanno punito».
Non avranno pure influito le politiche del governo, come fa intendere Prodi nell’intervista di ieri a Repubblica?
«Io veramente ci ho letto altro. Prodi ha fatto un’analisi lucida, che condivido appieno, su quello che è il problema centrale del mondo contemporaneo: l’ingiustizia crescente. Che finisce per influenzare il voto dei cittadini, non solo in Italia. Basta guardare quel che è successo a Roma, dove il Pd è stato vissuto come ininfluente rispetto alla vita delle persone. Troppo ripiegato su se stesso, non ha capito il disagio delle periferie, della gente meno tutelata e più in difficoltà, che alla fine ci ha percepito come inutili, incapaci di dare risposte ai loro bisogni. E ha scelto chi invece gli offriva questa speranza».
La sconfitta non può essere derubricata a vicenda locale: non interroga anche partito e governo nazionale?
«Sul voto di Roma la vicenda locale ha pesato eccome, è inutile rifare l’intera storia. Detto questo, ricordo che è stato proprio il nostro premier a porre il tema della lotta alle diseguaglianze, ingaggiando con la Ue una battaglia contro l’austerità e l’illusione che si possa scindere l’azione dei governi nazionali dalla qualità della vita delle persone».
Ma con la battaglia in Europa non si compra il pane, non si trova lavoro o un posto al nido.
«È vero il contrario. La grande battaglia di sinistra che il Pd sta facendo, per cui siamo entrati nella famiglia dei socialisti, è dire: noi siamo uno Stato fondatore, ma la Ue si deve rendere conto che le politiche devono essere legate ai bisogni dei cittadini, la priorità non può essere solo far tornare i conti. È la battaglia per far vivere meglio le persone, anche in periferia. Io penso che oggi la vera sfida di sinistra da vincere sia proprio questa. È così che si liberano risorse. Sapendo che è lunga: un governo non può certo risolvere in poco tempo una crisi globale, che dura da anni ».
E nel frattempo? Come pensate di arginare il voto anti-Pd e anti-governo che si è materializzato nelle urne?
«Quando tre anni fa ci siamo assunti la responsabilità di guidare il Paese, sapevamo che non sarebbe stata una cavalcata trionfale, specie per via della crisi. Fare le riforme, però, significa sbloccare il Paese e cambiare la vita delle persone. Ecco, io credo che abbiamo fatto tante cose buone, non sempre comunicate bene. Ora con umiltà dobbiamo capire che ci sono dei bisogni a cui non siamo arrivati, e a cui dobbiamo provare a rispondere».
A proposito di riforme, Renzi ha detto che in caso di sconfitta al referendum costituzionale lascerà. Resta questa intenzione?
«È questione di serietà. Se hai un programma chiaro, che prevede la riforma della Costituzione e poi i cittadini te la bocciano, non puoi far finta di nulla».
Quindi se vince il No, lascia?
«No. Perché vincerà il Sì».
Torniamo al voto. Perché il Pd ha perso così male?
«A Roma i numeri sono talmente chiari e violenti che è inutile cincischiare: o il Pd si libera dalle piccole e mediocri filiere di potere che lo tengono ancora in pugno e torna per strada, ad ascoltare i cittadini, i loro problemi e necessità, oppure muore. Deve aprirsi, rinnovarsi. Nella capitale siamo stati travolti. E oggi siamo in mare aperto. Che però può essere un’opportunità».
Non sarà troppo ottimista?
«No. La sconfitta ha portato tanti giovani amministratori a pagare colpe non loro: penso ai presidenti dei municipi romani età media 35 anni - che hanno governato bene i loro territori ma hanno perso. Ebbene, ora serve il coraggio di mettersi in gioco. Senza che nessuno abbia l’arroganza, anche perché non ne ha titolo, per dire cosa fare e come».
Qualcuno potrebbe obiettare che un partito non è un talent show, ministro.
«E questa sconfitta non è una finzione, purtroppo. Perciò adesso chi ha idee e forza d’animo deve farsi avanti, perché noi del Pd romano siamo stati tutti rottamati. In questo c’è già un modello: si chiama Matteo Renzi. Il quale non ha aspettato che qualcuno gli dicesse “fai il sindaco di Firenze” o il segretario nazionale. Penso che il partito, a Roma e negli altri territori dove siamo in difficoltà, debba essere “stappato”. Non può più rinchiudersi in discussioni asfittiche e politiciste».
Teoricamente ineccepibile, praticamente inattuabile: il Pd romano commissariato da 18 mesi ha schemi piuttosto rigidi, neanche Renzi - se ci fosse - farebbero avvicinare.
«Ma in questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati. E bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo. Se il tappo è Orfini, allora si dimetta da commissario. Non ci possiamo più permettere ostacoli al cambiamento. In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capo corrente la candidi».