Repubblica 23.6.16
Il valore di una sentenza
di Chiara Saraceno
CI
ha messo sette anni, ma la piccola romana nata dall’amore di due donne,
finalmente ha ottenuto di avere due genitori, due mamme, anche sul
piano legale. Con la sentenza che ha rifiutato l’impugnazione da parte
della Procura generale di Roma, confermando la liceità dell’adozione di
una bambina da parte della compagna della madre biologica, la corte di
Cassazione ha definito due punti fermi. Il primo è che il criterio guida
per concedere un’adozione, anche “in casi particolari”, è il benessere
del bambino/a, non una idea astratta di famiglia. Così come possono
essere tolti i figli ai genitori naturali e legittimi, non si può
rifiutare un genitore a un bambino solo perché non corrisponde al
modello ideale, se la sua disponibilità e capacità ad essere genitore è
accertata. Rifiutandolo, si lederebbero i diritti del bambino/a.
È
il logico compimento della ormai vecchia riforma del diritto di
famiglia del 1975, che aveva messo al centro i figli e i loro diritti.
Il
secondo punto fermo è che non c’è motivo di presumere che la richiesta
di adozione da parte del compagno/a del genitore biologico introduca un
possibile conflitto di interessi tra questi e il proprio figlio/a,
richiedendo quindi, preliminarmente, la nomina di un tutore. Come ha
stipulato la sentenza, infatti, una richiesta di adozione che nasce in
un contesto di convivenza e corresponsabilità genitoriale non può essere
considerata come una possibile alleanza della coppia contro gli
interessi del minore, tanto più se questi è venuto al mondo ed è
cresciuto proprio nell’ambito di quella relazione di coppia.
Se il
Procuratore generale di Roma Salvi, che aveva impugnato le due
successive sentenze che avevano concesso l’adozione, voleva arrivare ad
un’interpretazione univoca della norma (come da lui dichiarato a
febbraio), ha raggiunto il suo scopo. Dopo questa sentenza i giudici dei
Tribunali dei minorenni e delle corti d’Appello non potranno più
decidere se concedere o no l’adozione in casi simili sulla base della
propria idea di famiglia. Dovranno giudicare esclusivamente alla luce
dell’interesse del minore.
Ancora una volta, la giurisprudenza
supplisce all’assenza della norma. Certo, non siamo ancora alla piena
equiparazione dei figli delle coppie dello stesso sesso ai figli che
nascono entro coppie di persone di sesso diverso. Per questi ultimi
(inclusi i nati da rapporti incestuosi), sia pure tardivamente (solo nel
2012) è stata eliminata ogni residua distinzione tra figli naturali e
legittimi. Ciò significa che i nati dalla stessa coppia, anche se non
coniugata, possono essere legalmente fratelli e sorelle ed avere una
parentela piena: nonni, zii e zie. Gli adottati in regime di “casi
particolari”, invece, non possono essere fratelli e sorelle tra loro se
non condividono un genitore biologico ed hanno una parentela molto
ristretta. Si dirà che non è importante, che ciò che conta è l’affetto,
le relazioni. È vero solo in parte. Le differenze contano quando si
tratta non solo di eredità, ma anche di aspettative di solidarietà.
Sono
differenze particolarmente importanti in Italia, dove alla solidarietà
famigliare è attribuito per legge un ruolo importante, dove i nonni e
gli zii sono tenuti al mantenimento, nel caso di impossibilità dei
genitori, e così i fratelli e le sorelle. Anche con questa sentenza, che
pure è un passo avanti importante, i figli delle coppie dello stesso
sesso continuano ad avere meno diritti degli altri.