Repubblica 23.6.16
Il diritto dei bambini
di Michela Marzano
NON
poteva che andare a finire così. Dopo lo stralcio della norma sulla
stepchild adoption voluto dal Parlamento, la Corte di Cassazione, in
nome del «preminente interesse dei minori», ha riconosciuto la
legittimità dell’adozione di una bambina da parte della compagna della
madre biologica. Era evidente. Era logico.
ERA l’unica cosa che si
potesse fare non solo dal punto di vista del diritto, ma anche da
quello dell’etica per correggere una grande ingiustizia e cercare, così,
di «riparare (almeno parzialmente) il mondo». In nome di cosa il
legislatore ha potuto anche solo immaginare di non dare ai bambini che
vivono con due donne o con due uomini gli stessi diritti che ha un
bambino che vive con un uomo e una donna?
Quando ci si preoccupa
del bene dei più piccoli, tutti gli argomenti utilizzati in Parlamento
per arrivare allo stralcio della stepchild adoption finiscono con
l’apparire futili e inconsistenti. Inutile cercare di stravolgere il
dibattito insistendo sull’ipotetica legittimazione della pratica della
gestazione per altri quando si parla di bambini che già esistono.
Inutile invocare la “naturale fecondità” dell’incontro tra un uomo e una
donna quando è ormai noto che la “fecondità” di una coppia è
soprattutto simbolica. Inutile anche insistere sul fatto che madre e
padre sarebbero sempre e solo i genitori biologici quando, come sappiamo
bene, un conto è mettere al mondo un figlio, altro conto è accudirlo,
coccolarlo e accompagnarlo nella crescita, insegnandogli a “tenersi su”
da solo come spiega il pedopsichiatra D. W. Winnicott. I bambini e le
bambine di cui si occupa la magistratura ormai da anni sono d’altronde
bimbi e bimbe che già fanno parte di una famiglia, già vivono e già
crescono circondati dall’affetto di due mamme o di due papà. Uguali in
tutto e per tutto agli altri bimbi. Solo che, a differenza di chi vive e
cresce circondato dall’affetto di un padre e di una madre, i figli
delle coppie omogenitoriali, per il legislatore, sono trasparenti. E
allora c’è stato bisogno dei giudici per ricordare a tutti quella che
dovrebbe essere un’evidenza: è per il bene dei bambini, e nel loro
preminente interesse, che il compagno o la compagna del padre o della
madre biologica dovrebbero poter avere, nei loro confronti, gli stessi
diritti e gli stessi doveri dei “genitori naturali”.
Ormai, il
“sì” alla stepchild adoption è definitivo. Anche se, forse, l’errore è
stato proprio quello di utilizzare un’espressione inglese per designare
un semplice legame giuridico, un’adozione speciale, come spiegano i
giudici, che non equivale nemmeno a una vera e propria adozione, visto
che questi bambini, pur essendo riconosciuti figli dei genitori sociali,
non entrano nella linea familiare. Figli e non fratelli, quindi, se per
caso nella famiglia, di bambini, ce ne sono anche altri. Figli e non
nipoti, purtroppo, che avranno due genitori ma non quattro nonni. Perché
poi è sempre così che succede: quando non si nominano in maniera
corretta le cose, la quantità di disordine e di sofferenza che ci sono
nel mondo può solo aumentare. E allora è stato facile, per gli
integralismi di vario genere, derubricare la questione dell’uguaglianza
dei più piccoli a “porta aperta sull’abisso dell’immoralità”,
dimenticando che, quando si parla dei bambini, l’unica cosa che è
immorale è trascurare il loro benessere. “Un bimbo ha diritto a una
mamma e un papà”, continuano a ripetere tutti coloro che hanno
contestato le decisioni di alcuni Tribunali e che, oggi, criticano anche
la sentenza della Cassazione. Facendo finta di non sapere che il
diritto dei bambini è prima di tutto quello di crescere in un ambiente
armonioso, in cui maternità e paternità non si riducano a mera genetica e
significhino soprattutto capacità di accogliere e di accudire, di amare
e di riconoscere. Ognuno di noi non è solo il risultato di una
combinazione di geni, ma anche e soprattutto il frutto di una storia, la
conseguenza di un desiderio, il risultato di attese e sogni, speranze e
delusioni. Allora è ovvio che non si nasce senza l’incontro del
“femminile” e del “maschile”.
Ma è anche ovvio che non si cresce e
non si ha accesso alla propria umanità senza il desiderio profondo di
chi, diventato padre o madre, cerca di trasmetterci il senso
dell’esistenza, riconoscendoci e amandoci per quello che siamo. Amore e
riconoscimento non hanno né sesso né genere. I bambini lo sanno
istintivamente e lo sperimentano ogni giorno. Peccato che siano gli
adulti a dimenticarlo, chiudendosi talvolta all’interno dei rigidi
steccati che impongono gli stereotipi di genere.