mercoledì 22 giugno 2016

Repubblica 22.6.16
Prodi, messaggio al governo “Due anni bastano per logorarsi necessario cambiare politiche”
L’ex premier e il terremoto elettorale: “I populisti crescono perché c’è troppa ingiustizia. L’ascensore sociale è bloccato e dentro si soffoca”
intervista di Michele Smargiassi

BOLOGNA.  «Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni». Quasi uno scioglilingua, ma condito con un sorriso ammiccante. Dal suo ufficio di Bologna Romano Prodi, padre fondatore del Pd in ritiro politico, osserva le elezioni di domenica, le maggiori città del paese governate da partiti che non esistevano fino a pochi anni fa, e manda un messaggio a Palazzo Chigi.
Esplode il mappamondo politico. Cosa sta succedendo?
«Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C’è un’ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur nell’indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l’insicurezza economica, la paura sociale e identitaria».
I populismi sono figli solamente di una crisi di paura?
«La paura di non farcela è tremenda ma non immaginaria. La chiami iniqua distribuzione del reddito, ma per capirci è ingiustizia crescente. Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà. L’iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi».
Cos’è classe media?
«Nel senso più ampio possibile, chiunque avesse una sicurezza anche modesta sulla propria vecchiaia e sul futuro dei figli. Ma il pensionato che diceva orgoglioso “io non ce l’ho fatta, ma mio figlio è laureato”, ora non lo dice più. L’ascensore sociale si è bloccato a metà piano e dentro si soffoca».
I Cinquestelle gridano “onestà- onestà”, sembra soprattutto una rivolta morale… «La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga… Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale».
La rabbia poteva avere altri sbocchi politici, non crede?
«Quando il socialismo era all’opposizione appariva come la grande alternativa. Ma cos’è successo poi? Una fortissima omologazione delle politiche, da Clinton alle grandi coalizioni tedesche all’Italia… Non mi faccia dire del “partito della nazione”, ma è chiaro che qualcosa del genere è accaduto anche qui».
Una politica uniformata fa nascere i populismi?
«No, lo fa una politica uniformata quando occupa tutto il campo, ma non sa dare soluzioni. Allora la rabbia della gente crea un altro campo. Se il voto diventa liquido, è per questo. Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo sbagliato, le paure reali del ceto medo».
Ma anche quando la politica tradizionale dà soluzioni, perde. Piero Fassino amareggiato dice che non basta più governare bene.
«Fassino ha governato bene, nessuno ne dubita, ma chiunque governi oggi viene identificato col potere costituito, ed è un bersaglio. Il gioco è molto più grande di un municipio, il problema è che alle grandi forze politiche nazionali manca un’interpretazione della storia e del presente».
Un problema di questa classe politica di governo?
«Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente».
Be’, i politici di governo li abbiamo cambiati da poco.
«Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d’anni... C’è sempre un’usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure».
È un Pd de-ideologizzato che
non ha queste risposte?
«Rifiutare le strettoie delle ideologie è diverso dal non avere radici e risposte fortemente orientate. Non abbiamo un Keynes, un progetto per uscire in modo collettivo dalla crisi. Quando governi, devi dare operativamente il messaggio che sai affrontare i problemi, e questo non lo puoi fare senza il coinvolgimento di una forte base popolare nel cambiamento delle politiche. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente».
C’entra anche la personalizzazione della politica? Paradossalmente, quando Grillo si eclissa i Cinquestelle vincono, mentre il Pd, dove Renzi “pone la fiducia”, soffre… «Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare».
I trionfatori di queste elezioni vincono perché danno questa speranza?
«Hanno risposte emotive e confuse, semplici motti specifici su angosce specifiche, via gli immigrati, punire le banche, ma neanche una riga che spieghi come potrebbero fare. Ma il loro vantaggio è un altro: sanno adattarsi alle paure. Questi movimenti nascono in genere molto di parte, orientati, partigiani. Hanno un certo successo poi si fermano, perché le loro soluzioni mostrano un limite ideologico. E allora si allargano da destra a sinistra e da sinistra a destra. Marine Le Pen è stata la prima a capire i limiti di un populismo di parte, e ha “ucciso il padre”. In quel momento è diventata una potenziale presidente della Repubblica francese. In Italia sta succedendo la stessa cosa».
È il limite che ha cercato di superare Salvini?
«Ma prima di lui è arrivato il Movimento Cinquestelle. Hanno capito per primi che bisogna cavalcare la protesta, non una protesta. Guardi il loro atteggiamento sull’immigrazione: prese di posizione così inafferrabili da poter essere interpretate sia in senso di destra che di sinistra. E dalle analisi che leggo, ha funzionato: prendono voti anche fra gli anziani delle periferie metropolitane, i ceti deboli tra i quali la paura dell’immigrato è più forte».
Professore, lei si tiene lontano dalla politica italiana, ma qui c’è una morale, no?
«Progetto e radicamento popolare. Il cambiamento possibile, fatto entrare nel cuore della gente. Il solo ad averlo capito è papa Francesco».