Repubblica 21.6.16
La strategia degli elogi
di Stefano Folli
NON
è solo fair play, l’inchino all’avversario da cui è stato battuto.
Quando Renzi ammette la sconfitta e promuove l’istanza di «cambiamento»
dei Cinque Stelle («non è un voto di protesta») in realtà mette sul
tavolo una carta politica e si prepara al confronto interno al Pd.
RICONOSCERE
che i Cinque Stelle hanno raccolto un voto positivo, di gente che vuole
cambiare e non solo protestare, significa due cose nel linguaggio del
premier. La prima è che Renzi non si considera realmente dalla parte dei
vinti. È come se dicesse ai “grillini”: voi avete espresso con maggiore
efficacia un punto di vista che anch’io sostengo; in fondo ci troviamo
sullo stesso versante della barricata; e se voi questa volta siete stati
più bravi di me, è solo perché io sono appesantito e frenato dal mio
Pd, oltre che dalle cure del governo.
Il secondo aspetto riguarda
appunto il partito, dove la minoranza si prepara a un confronto in
Direzione senza troppi convenevoli (del resto, se non ora, quando?). C’è
da dubitare che il segretario voglia concedere qualcosa a Bersani e ai
suoi amici. Il gioco è tutt’altro: dimostrare che l’opposizione è poca
cosa, solo ceto politico rinchiuso nel recinto romano. Meri conservatori
destinati a esser travolti, loro sì, dal vento del cambiamento. Il
premier-segretario si prepara ad attaccarli, questi avversari interni,
per la perdita di Roma e anche di Torino. Riservando a se stesso, si può
immaginare, solo una minima porzione di autocritica.
In altri
termini, gli elogi ai Cinque Stelle indicano la volontà di prendere
ispirazione dagli anti-sistema per rivolgersi al Paese con ritrovato
slancio. Chiudersi negli uffici di un partito tradizionale e riflettere
sugli sbagli commessi: ecco un esercizio che a Renzi è sempre piaciuto
poco. Gli piace ancora meno oggi, quando in quelle stanze rischia di
subire un vero processo politico a opera di una fazione che egli
disistima. Invece il suo sogno è di giocare la partita con le regole dei
Cinque Stelle: ritrovando il filo del contatto diretto con l’opinione
pubblica, mettendo in campo candidati giovani e simpatici, assaporando
il gusto di un successo elettorale in apparenza facile. Sembra che tutto
si risolva individuando una Chiara Appendino o una Virginia Raggi
renziana (e in fondo il retro pensiero è che entrambe sarebbero renziane
se solo le circostanze temporali avessero incrociato diversamente i
destini personali). Ma la realtà è un po’ più complicata. Dietro il voto
non solo delle grandi città, ma anche dei numerosi centri medi o
medio-piccoli dove il Pd è stato battuto, si coglie una verità amara.
Con ogni evidenza, il centrosinistra italiano non era ancora pronto per
vivere solo grazie alla luce riflessa del leader. Questa è la dimensione
renziana, che si è trovata a convivere con una tradizione dedita a
coltivare le proprie radici nel territorio. Radici all’improvviso
perdute, certo anche per gli errori compiuti: ad esempio, quello di
immaginare che fosse possibile vivere di rendita, pressoché immobili nel
tumulto dei tempi.
Il problema è che questo è il solo Pd di cui
il premier-segretario dispone. Il tentativo di trasformarlo in qualcosa
di diverso finora non è riuscito. E la sconfitta nelle urne, per quanto
Renzi faccia mostra di non considerarsi il bersaglio di un voto di
protesta, riapre ferite mai rimarginate. Ora il leader si sforzerà di
ricondurre tutto alla battaglia referendaria, sulla quale chiederà di
nuovo l’unità interna. Magari garantendo la sollecita convocazione di un
Congresso nel quale discutere la questione del doppio incarico da lui
accentrato, premier e segretario. Ma qualcosa è cambiato dopo i
ballottaggi. La tregua, già difficile un mese fa, ora lo è molto di più.
Dietro i dissensi interni, si staglia il nodo della legge elettorale.
Agli occhi di molti, l’Italicum appare più che mai un azzardo. I
risultati delle comunali indicano che sulla carta i Cinque Stelle
possono battere il candidato del centrosinistra: soprattutto se riescono
ad attirare i voti di destra, come lo stesso premier ammette. Tuttavia
resta improbabile che il governo accetti di riaprire il “dossier”. Qui
Renzi resisterà. Nel frattempo tenterà di recuperare i voti “grillini”
blandendoli e ammiccando ai temi anti-sistema. Il che configura una
scommessa temeraria, dal momento che una linea anti-casta non
s’improvvisa. E imitare l’avversario rischia di accreditarlo invece di
svuotarlo.