martedì 21 giugno 2016

Corriere 21.6.16
Perché cambiare la legge elettorale ora è possibile
di Francesco Verderami

ROMA Sono arrivati ormai all’esegesi dei suoi discorsi, all’analisi delle incidentali pronunciate dal «compagno segretario». Nella minoranza del Pd, l’intima speranza di un cambio della legge elettorale si è tramutata in fideistico convincimento dopo il crac dei ballottaggi: l’idea è che alla fine Renzi non modificherà l’Italicum. Ma lascerà che l’Italicum venga modificato. Nella «ditta» è in corso un passaparola su una frase — «per me non si cambia» — pronunciata dal premier, che apre il cuore a molti, non solo nel Pd. Non bastasse, si cita anche Verdini, manco fosse Zarathustra, che avrebbe assicurato ai suoi come «Matteo alla fine cambierà la legge elettorale».
Non ci si attarda a capire se certi discorsi del leader di Ala servano semplicemente a fronteggiare emorragie dal suo gruppo parlamentare. Né si capisce quanto possa essere fondata la tesi sul laissez faire di Renzi, che dovrebbe lasciare al Parlamento la possibilità di calendarizzare le proposte di modifica all’Italicum, e affidarsi al lavoro delle Camere senza porre veti né questioni di fiducia. Possibile? Anche perché — dopo il default alle Comunali — questo gioco del premier sarebbe smaccato. A meno che la Consulta, chiamata in causa sull’Italicum, non eccepisse alcuni aspetti del sistema di voto, fornendo il pretesto per cambiarlo dopo la vittoria del Sì al referendum.
Sarebbe un rompicapo. Come un rompicapo è anche il progetto di chi punta sulla sconfitta del referendum, avendo in testa — guarda caso — sempre e solo la legge elettorale. Ieri l’ex ministro Quagliariello, che vanta numerose conversazioni con D’Alema, ha lanciato una proposta volta a compattare tutte le forze del No su una «comune proposta alternativa» all’Italicum: sarebbe un miracolo trovare in pochi mesi l’intesa su un tema che divide da anni. A meno che l’intento del fondatore di Idea non sia più semplicemente quello di aiutare la costruzione di una piattaforma parlamentare per dar vita a un «governo di scopo» (un altro) dopo il fallimento della consultazione d’ottobre, per far vedere che «dopo Renzi non c’è il caos».
In effetti sono in tanti a voler evitare lo scioglimento anticipato della legislatura, anche se gli interessi sulla legge elettorale sono tanti e divergenti. A volte mutevoli. L’azzurro Toti, per esempio, si sarebbe convertito al premio di maggioranza alla lista, che è l’elemento qualificante della riforma di Renzi ma è anche l’elemento squalificante per Berlusconi: «Non è affatto male», avrebbe detto il governatore ligure in una riunione tra forzisti e leghisti. Il mondo cambia, a volte va alla rovescia. I grillini, per dire, potrebbero aver interesse all’approvazione della riforma costituzionale per garantirsi così l’Italicum. L’impressione di Renzi è che lo stato maggiore Cinquestelle farà una campagna soft per il No ma che i loro elettori voteranno sì.
Può darsi, come potrebbe darsi che il Movimento — geloso della propria autonomia e politicamente intenzionato a non fare prigionieri — voglia per sé la testa di Renzi e insieme la legge di Renzi. Voglia cioè sfruttare il caos dopo il fallimento del referendum per puntare subito al voto anticipato, sfruttando l’Italicum alla Camera (che garantirebbe la maggioranza a un partito), e tentando la sorte al Senato con il Consultellum (che garantirebbe la maggioranza solo in caso di una clamorosa performance di un partito). Siccome nessuno oggi vuole sfidare i grillini alla roulette russa delle urne, tutti si aggrappano alla legge elettorale come fosse una ciambella di salvataggio. Dimenticando ciò che la storia recente insegna: senza il consenso dei cittadini, al momento del voto il salvagente affonda sempre.