Repubblica 20.6.16
Il retroscena.
Dopo la sconfitta, secondo la minoranza, Renzi deve lasciare la carica di segretario
La sinistra Pd attacca “Dimissioni del leader e subito il congresso”
di Giovanna Casadio
ROMA.
«Renzi lasci la segreteria del Pd». La sinistra dem si prepara
all’attacco. Per la “ditta”, ovvero quella parte del partito che fa capo
a Bersani e Speranza, una sconfitta di questa portata alle
amministrative deve segnare una svolta vera. Di linea politica e di
gestione del partito. Non basta un restyling, come il premier-segretario
ha fatto già trapelare, prendendo atto di un partito in crisi profonda,
commissariato a Roma con Matteo Orfini, in Liguria con Davide Ermini,
in mezza Sicilia con Ernesto Carbone e tra poco a Napoli e in Veneto. Ma
per la minoranza non è sufficiente qualche ritocco all’organigramma.
«Il
Pd sta male, i risultati ne sono la conferma, si è rotto il rapporto
con il nostro elettorato». Roberto Speranza si limita a poche parole ma
ricorda l’analisi che la minoranza ha fatto da tempo. Sia Speranza che
l’ex segretario Bersani hanno detto e ribadiscono che il doppio ruolo di
segretario- premier ha “ammazzato” il Pd; che la rincorsa dei voti dei
moderati e le alleanza con Verdini sono state fallimentari e hanno fatto
perdere consensi. Il doppio ruolo che «non va bene».
Gianni
Cuperlo parla di «dato negativo» e di «forte preoccupazione». Dice:
«Giachetti va ringraziato per la generosità con cui si è battuto a
Roma», ma la sconfitta è cocente, termometro del disastro Capitale di
cui il Pd è stato protagonista. Aggiunge: «Alla luce di quanto è
accaduto, va ridiscusso l’Itali-cum». Una questione che Bersani ha posto
più volte: la legge elettorale va cambiata. Denuncia Miguel Gotor: «Il
doppio ruolo di segretario e di premier deve finire, così come la
stagione dei commissariamenti. A Roma ci vuole un congresso subito,
mentre il partito è stato “turchizzato” e va anticipato il congresso
nazionale. Inoltre le politiche sulla scuola e sul Jobs act hanno
contribuito a farci perdere consensi». Sono ore sul filo. La minoranza
prepara una convention: era prevista venerdì nella sala delle riunioni
al Nazareno. Ma l’appuntamento slitterà, perché Renzi ha convocato la
direzione del Pd.
«Non bastano gli aggiustamenti nella segreteria,
se è a questi che Renzi pensa»: riflette il bersaniano Nico Stumpo. Il
senatore Federico Fornaro mostra dati e raffronti. Dopo essere stato
attaccato da Renzi e difeso da Bersani, Fornaro documenta la crisi del
renzismo: rispetto alle comunali del 2011 il Pd ha perso il 4,3% pari a
oltre 200 mila voti in valore assoluto. Prese come campione le città
capoluogo, i candidati del centrosinistra hanno complessivamente
dissipato dieci punti e mezzo. Dell’apoteosi del centrosinistra a Roma,
Milano, Torino, Cagliari, Bologna, non ne resta traccia. Ancora. La
coalizione di Bersani “Italia bene comune” nel 2013 aveva ottenuto alle
politiche il 33,3% e il Pd di Renzi alle europee il 44%: che fine ha
fatto questo tesoretto?
A Napoli dove i dem hanno perso malamente
al primo turno con Valeria Valente, candidata della corrente dei
“giovani turchi”, dopo uno strascico di accuse sulle primarie taroccate,
è Antonio Bassolino, a commentare il ballottaggio tra De Magistris e
Lettieri: «A Napoli sulla scheda elettorale ci sono ben 22 simboli.
Manca quello del Pd, eppure è il partito al governo del paese, è stato
compiuto un vero e proprio delitto politico». Gelate continue nel Pd..
Tensione tra renziani e Massimo D’Alema che, all’uscita del seggio ieri,
smentisce di avere pensato di votare Virginia Raggi: «Ho votato come
sempre, come faccio da quando ero piccolo, secondo le indicazioni del
partito». Quindi Roberto Giachetti, il candidato renziano che non gli è
mai piaciuto. Però l’ex premier attacca di nuovo
Repubblica, che
aveva dato notizia della sua tentazione, e «le manovre di qualcuno
all’interno del partito». Clima di sospetti. D’Alema sposta il redde
rationem al referendum costituzionale di ottobre: lui è per il No.