Repubblica 19.6.16
Partire dai libri così Google comprese la grande intuizione di H.G. Wells
di Jaime D’alessandro
La
digitalizzazione della letteratura è alla base degli esperimenti sulle
più avanzate forme di A.I. Ora si è passati allo studio dei nostri dati
personali.
1.936, ottant’anni fa. Lo scrittore H.G.
Wells, al Royal Institution of Great Britain, teorizzò la nascita di una
“mente globale: memoria planetaria ed enciclopedia del sapere a
disposizione del genere umano”. Quella lezione avrebbe poi perso la
forma di una collezione di brevi saggi intitolata World Brain. Nel 1962,
nella raccolta di articoli Profiles of the Future, Arthur C. Clarke
aggiunse un secondo passaggio evolutivo verso un’intelligenza
artificiale vera e propria a disposizione del mondo. Ecco, quella mente
globale sembra stia nascendo. Per ora sono forme di pensiero sintetico
piuttosto limitate ma sulle quali stanno investendo miliardi di dollari
Amazon, Ibm, Facebook, Microsoft e Google che giovedì ha annunciato di
aver aperto un nuovo centro di ricerca in Svizzera, vicino a quello
della Ibm, dopo aver acquisito l’inglese Deep-Mind nel 2014 per mezzo
miliardo di dollari. È la stessa azienda che ha messo a punto
l’intelligenza artificiale capace di battere diversi campioni di Go, ben
più complesso degli scacchi.
«Buona parte degli addetti ai lavori
crede che arriveremo ad una intelligenza capace di pensare
autonomamente spaziando a 360 gradi», racconta al telefono Perdo
Domingos, professore all’Università di Washington in computer science.
«Il punto è capire quando». Nel suo libro L’algoritmo definitivo
(Bollati Boringhieri), consigliato da Bill Gates come uno dei due testi
fondamentali sull’argomento assieme a Superintelligence di Nick Bostrom,
Domingos ipotizza la nascita di un algoritmo simile per certi versi
all’entità di Arthur C. Clarke considerando quel che sta accadendo.
Colpisce
l’accelerazione: cinque anni fa su una vittoria a Go da parte di una
macchina non avrebbero scommesso in tanti. Né si pensava che sarebbero
state in grado di tradurre in simultanea una chiacchierata fra una
persona che parla in mandarino e un’altra che si esprime in inglese.
Miracoli che nascono in parte da un ossimoro: la forma più avanzata di
intelligenza artificiale è figlia di uno dei mezzi più antichi di
trasmissione della conoscenza, i libri. È stato sottolineato spesso
negli ultimi tempi, anche se è dal 2004 che gli indizi hanno iniziato a
moltiplicarsi. Vennero però fraintesi, ci fu perfino una causa per
violazione del diritto d’autore e una sentenza di condanna della corte
di appello di New York nel marzo del 2011. Ma andiamo per gradi. Oggi
possiamo insegnare a un computer dotato di vista e udito, come ha
dimostrato la Ibm con il braccio meccanico Eli, a riconoscere cose e
concetti parlandoci come si trattasse di un bambino. Dall’afferrare una
bottiglia, distinguendola da un bicchiere, al sapere cos’è il colore
rosso.
«Un risultato del genere è frutto di quattro fattori e di
molte coincidenze», racconta Alessandro Curioni, vice presidente della
Ibm, a capo del centro di ricerca di Zurigo. «La ricerca
dell’intelligenza artificiale è tornata in auge grazie ai progressi nel
campo degli algoritmi, all’enorme disponibilità di dati che sono
essenziali per far imparare le macchine, alla crescita della potenza di
calcolo dei processori e al fatto di poter accedere a quella potenza
anche da lontano attraverso la Rete».
Google la sua l’ha messa
assieme partendo dalla letteratura con Google Books, progetto cominciato
nel 2004. In apparenza aveva l’ambizione di trasferire in digitale
tutto quello che l’uomo ha prodotto in forma di libro, l’indice del
sapere immaginato da Wells. L’azienda, dopo aver digitalizzato venti
milioni di volumi, fu condannata a pagare 125 milioni di dollari per
violazione del copyright dal giudice Danny Chin che però riconobbe che
il progetto non era a fini di lucro. Non lo era, malgrado la scansione
costasse circa 150 dollari a libro, perché avrebbe dato un vantaggio
strategico che solo ora si inizia a delineare.
«Molti sono
spaventati dalla nascita di una intelligenza del genere », commenta
Domingos. «Ma sa cosa penso? Che i pericoli maggiori vengono dal fatto
che è ancora troppo stupida e se abile, abile solo in compiti molto
specifici. Finché si tratta di Siri che non capisce quel che le si dice
non è un gran problema, diverso il caso di un’auto che guida da sola».
Nel frattempo i libri hanno perso importanza, come palestra bastiamo noi
e i dati che produciamo fra testi, foto, spostamenti usando le mappe e
interazioni sui social network. Una miniera d’oro per quel che sarà la
mente globale di domani, che i più ottimisti danno per certa da qui ai
prossimi trent’anni.