domenica 19 giugno 2016

Repubblica 19.6.16
Il futuro della Russia
di Roberto Toscano

ALLORA, cosa dobbiamo fare con la Russia? Isolarla per punirla della sua annessione della Crimea e dell’appoggio ai separatisti armati dell’Ucraina orientale, o prendere atto del suo peso economico e del suo ruolo geopolitico, e normalizzare al più presto i nostri rapporti con Mosca?
A San Pietroburgo il nostro presidente del Consiglio ha di fatto contestato che la questione si possa definire in termini alternativi. Non si è discostato dalla comune linea europea e atlantica sulla necessità di mantenere le sanzioni, ma le sue dichiarazioni hanno rivelato il preciso convincimento che la situazione attuale vada quanto prima superata: concentrarsi sul futuro piuttosto che sul passato; no alla Guerra Fredda; i patti devono essere rispettati, ma non solo dai russi. Ancora più chiaro l’auspicio che «Ue e Russia tornino ad essere buoni vicini di casa».
Ma la questione è appunto questa: perché oggi la Russia non è un buon vicino di casa, e in che misura è possibile pensare che lo diventi? Ne hanno discusso ieri a Venezia, ospiti della Fondazione Cini, esperti russi, italiani e internazionali nel corso di una conferenza dal titolo “Stato e discorso politico in Russia”, organizzata da Reset- Dialogues on Civilizations. Negli interventi, pur caratterizzati da una grande varietà di punti di vista, non è mancato un preciso filo conduttore: la constatazione che, contrariamente alle speranze sollevate dalla fine del sistema sovietico, lo Stato russo si presenta oggi come “democrazia illiberale”, ovvero un sistema politico che trova la sua legittimazione in un indubbio consenso elettorale, ma che manca dei requisiti — in primo luogo divisione dei poteri e libertà di opinione — che vengono legittimamente associati al concetto di democrazia. In Russia non si rivendica la democrazia illiberale come fa il primo ministro ungherese Orbán, ma si parla di “democrazia sovrana”, dove “sovrano” sta per un potere dello Stato capace di imporsi in modo autoritario e senza rispetto per il pluralismo.
Sul piano interno la breve stagione liberale dei primi anni ’90 (gli anni di Eltsin) viene identificata dalla maggioranza dei cittadini russi con disordine, ingiustizia, aumento delle disuguaglianze. Su quello internazionale, con la perdita dello status di grande potenza cui — per il rifiuto dell’Occidente di accogliere la Russia come partner — non ha fatto seguito il pieno inserimento nel mondo sviluppato e democratico.
All’epoca qualcuno elaborò, al momento della fine dell’ideologia comunista, una teoria generale sulla fine delle ideologie in generale. In realtà lo Stato russo ha sostituito l’ideologia comunista con il ritorno all’“idea russa” — un richiamo alle tradizioni anche religiose sulla base di un forte richiamo identitario con pesanti connotazioni scioviniste. Si inserisce qui — come è emerso alla conferenza — uno dei nodi più problematici del rapporto della Russia con il mondo esterno. Puntare sulla continuità dello Stato russo, infatti, mette in primo piano rivendicazioni neo-imperiali (come quelle sulla Crimea e sull’est dell’Ucraina), cui si aggiunge una sorta di “dottrina Monroe” riferita allo spazio ex-sovietico. Non si tratta semplicemente di aspirazioni geopolitiche ma di un confronto ideologico con un Occidente descritto, con echi che ricordano il più reazionario pensiero russo, come debole, immorale e corrotto.
Un quadro certo poco incoraggiante, ma è interessante notare come, nonostante queste premesse, le analisi formulate al convegno abbiano tutt’altro che escluso la possibilità di un’uscita dall’attuale stallo. Sarebbe illusorio attendersi un mutamento politico come conseguenza di una sorta d’improbabile rimonta ideologica del liberalismo, oggi del tutto marginale e classificabile più come dissenso che come opposizione. Il cambiamento potrà invece venire dalla concretezza delle esigenze del Paese e di una popolazione che è disposta ad accettare il modello autoritario nella misura in cui paventa insicurezza interna e debolezza internazionale, ma che non potrà ignorare a lungo i prezzi socio-economici da pagare per una politica di affermazione unilaterale della potenza russa accompagnata dal rigetto delle regole internazionali. Non si tratta solo del costo delle sanzioni ma, in positivo, delle prospettive che si aprirebbero se Mosca, prendendo atto dell’impossibilità di eludere le questioni economiche, decidesse di riconoscerne la centralità rispetto a sicurezza e sovranità intese come una sorta di gioco a somma zero invece che come terreno di negoziato e compromesso. Come è stato rilevato al convegno, l’assoluta priorità per la Russia di rompere l’isolamento comincia ad essere oggetto di esplicite prese di posizione, come il rapporto, pubblicato lo scorso maggio, del Centro per le ricerche strategiche. Che il rapporto non vada sottovalutato lo dimostra il fatto che abbia suscitato una replica critica di Putin.
In questo senso parlare, come si è fatto a San Pietroburgo, di prospettive di più intensa collaborazione economica ha un senso anche per quanto riguarda le prospettive di una futura Russia autenticamente democratica. Certo, le nostre aperture dovranno trovare un concreto riscontro nel comportamento di Mosca, ma quello che rivela un’analisi non superficiale dell’attuale realtà russa è che l’impegno per superare l’attuale confronto non va visto solamente nell’ottica di un nostro vantaggio economico ma anche in quella di una Russia ad un tempo più prospera e più democratica. Non è detto che business e democrazia debbano essere necessariamente in contrasto.
L’autore è diplomatico e scrittore già ambasciatore in Iran e in India