Repubblica 19.6.16
I tabù del mondo
Non solo di scarti è fatta la vita ma di eros e amore
La
storia della civiltà umana è costellata di rifiuti. Già Tommaso
D’Aquino dichiarava che i suoi scritti non erano altro che letame
Ma è il nostro tempo, il tempo dominato dalla cultura del consumo che segna l’avvento dell’accumulo della spazzatura
Viviamo
in case piene zeppe di cose morte. Tra le nuove sindromi c’è quella di
coloro che non riescono a liberarsi degli oggetti acquistati
Non è vero però che tutto è sempre da buttare
di Massimo Recalcati
Quello
che scartiamo, che gettiamo nella spazzatura, i rifiuti che ogni
civiltà umana accumula non sono solo oggetti che hanno esaurito la loro
utilità o che si sono decomposti, ma indicano anche ciò che noi stessi
siamo. È questo il lato più inquietante – il tabù – della spazzatura.
Essa ci riguarda da vicino perché la nostra natura finita ci accomuna al
suo destino. È il risvolto umanissimo dell’ampia problematica della
gestione dei rifiuti nella storia della civiltà umana. Non siamo forse
tutti noi – nonostante quanto affermi, sia detto da parte mia senza la
benché minima ironia, Emanuele Severino – destinati a finire, a
decomporci? Il nostro viaggio non è dall’essere al nulla, dall’esistenza
alla polvere?
Eppure il rifiuto non può mai essere smaltito del
tutto; qualcosa resta, indistruttibile, ponendo, drammaticamente, il
problema del suo smaltimento. Non accade anche in politica dove il
“riciclato” è lo spettro del rifiuto che ritorna incessantemente come un
incubo resistendo ad ogni tentativo di rottamazione? È un fatto: non
esistono civiltà senza fogne. Ma se così è, se questo è il destino
mortale che ci attende e ci costituisce come esseri umani, tutto è
davvero da buttare? Tutto, la vita stessa, assomiglierebbe ad una
immondizia da gettare via? Non è questo l’insegnamento di una vita come
quella di Giobbe che conosce in una progressione malefica la
trasformazione di tutti i suoi beni – compreso quello del proprio corpo –
in rifiuti, in scarti indecenti?
«I rifiuti sono quello che rimane quando non rimane nient’altro», scrive Alberto Zaccuri,
scrittore
e saggista di raffinata intelligenza in un ricchissimo recente libro
dedicato al tabù dei rifiuti: Non è tutto da buttare. Arte e racconto
della spazzatura (La Scuola). L’eccedenza da smaltire dei rifiuti si
coniuga con il problema della mancanza. Il rifiuto è simbolo di
entrambe: è qualcosa che ci assedia e che esige un collocamento, ma è
anche qualcosa che segnala l’inappagamento del nostro desiderio. Ogni
oggetto non è mai in grado di estinguere la mancanza. Il discorso del
capitalista enfatizza non a caso la rapidità della metamorfosi delle
cose in spazzatura. Gli economisti la chiamano obsolescenza: in tempi
sempre più accelerati le cose scadono mostrando dietro alla gloria
effimera della loro esistenza la loro radice mortale. La cultura del
consumo è una grande cultura dello scarto. Le nostre case sono piene
zeppe di cose morte. Lo stesso DSM-V (Manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali) ha recentemente aggiunto tra le nuove sindromi
quella di coloro che non riescono a liberarsi degli oggetti acquistati
accumulandoli cimiterialmente e caoticamente nella propria casa
(“disturbo di accumulo” o “disposofobia”).
Alla fine della sua
vita Tommaso d’Aquino – ricorda Lacan – dichiara tutti i suoi scritti
null’altro che “sicut palea”, scarto, letame. Il lustro narcisistico
dell’immagine del grande filosofo al culmine della sua fama, lascia il
posto al suo destino mortale, al suo essere “niente”. Egli non cerca
rifugio nel culto nevrotico della bellezza come reazione difensiva di
fronte alla marea montante dei rifiuti, non crede nella bella forma che
dovrebbe salvarci dal rischio della contaminazione con l’informe. Non
resta, sembra dire il filosofo, che l’humus umano, spazzatura,
immondizia, palea. Eppure, come insegna con forza la parola di Cristo, è
solo sulla “pietra di scarto” che si può edificare una possibile
liberazione dell’uomo dall’assillo della sua fine. Cristo si fa egli
stesso “scarto” – muore come un delinquente comune sulla croce – per
liberare la vita dall’idea nichilistica che essa non sia altro che una
orrenda casualità. Cristo è uno scarto che ci libera dal destino di
diventare degli scarti. Ma il nostro tempo è il tempo della “morte di
Dio”: tutto è andato in frammenti, tutto è a pezzi, tutto manca di
senso, “tutto è vano e inutile”, come predica l’indovino- Schopenhauer
in Così parlo Zarathustra di Nietzsche. Questo significa che tutto è
diventato scarto, che tutto è un insieme informe di macerie, scorie,
detriti? Il mondo stesso non sarebbe altro che una grande fogna?
La
risposta si trova nel finale poetico della riflessione di Zaccuri. Si
tratta di un aneddoto autobiografico. Anche un amore può nascere lungo
la strada che conduce alla pattumiera. Gli accadde un’estate di diversi
anni fa. Nel tragitto per buttare la spazzatura di una casa vacanze in
montagna due giovani si incontrano, si conoscono e si innamorano. In
amore, come ci ricorda Leonard Cohen in Suzanne, “tutto accade da
qualche parte, non si sa dove, tra i fiori e la spazzatura e i fiori”.
Ma cosa resiste alla spazzatura, alla tentazione di buttare via tutto?
Per Freud il gioco della vita consiste nel ritardare la fatalità
inaggirabile della morte. Questo gioco è possibile solo grazie ad Eros:
complicare, allungare, rendere più tortuoso, il cammino che ci farà
diventare palea, polvere. È solo il gioco di Eros che può fare della
vita qualcos’altro da una orrenda montagna di rifiuti. Qualcosa resiste.
Non tutto è da buttare. Qualcosa può accadere tra la spazzatura e i
fiori. È quello che avvenne diversi anni fa a due giovani e che continua
ad avvenire. “L’amore”, scrive Zaccuri, è ciò che davvero “resiste”.