domenica 19 giugno 2016

Corriere 19.6.16
Renzi, Grillo e il centrodestra
Chi vincerà nell’Italia tripolare
di Antonio Polito

C omunque vada stasera, per Renzi sarà finita l’età dell’innocenza. Dopo due anni e mezzo di governo l’elettorato non fa più sconti, dimentica il passato e giudica solo il presente. E può diventare crudele: nutrito a nuovismi, ne cerca continuamente di nuovi. Oggi Renzi, per la prima volta nella sua storia politica, sarà giudicato come premier (alle Europee si era appena insediato). Tutto è in gioco, fuorché il governo. Se le cose gli andassero male, potrebbe essere anche la fine dell’età dell’arroganza, uno stile di comando da lui esplicitamente rivendicato come metafora di decisionismo e autosufficienza, ma anche causa costante di tensione politica e di isolamento del potere (al punto che sarebbe meglio se l’età dell’arroganza finisse anche in caso di successo elettorale del Pd).
Stasera sapremo dunque se Renzi dovrà mangiare la «humble pie», la torta dell’umiltà. Ma alla domanda cruciale della nostra politica queste elezioni hanno già dato una risposta al primo turno: lo strano tripolarismo italiano, spuntato nelle urne nel 2013, non è stato riassorbito dal governo Renzi, che pure era nato proprio come risposta d’emergenza a quella anomalia e come strumento per svuotare l’antipolitica. L’istituto Cattaneo ha fatto una estrapolazione sul risultato di 18 Comuni capoluoghi al voto il 5 di giugno. Il centrodestra risulta essere al 29,5, in recupero sulle Politiche di tre anni fa (25,4). Il centrosinistra raggiunge il 34,3, contro un 33,1 del 2013. I Cinquestelle piazzano un 21,4 in calo rispetto alle Politiche (25,0), ma sideralmente lontano dai tempi del bipolarismo, quando alle Comunali del 2011 raggiungevano un irrilevante 6,1. I tre poli, dunque, sono ancora lì. E anzi l’M5S è anche più rampante, perché è riuscito ad arrivare al ballottaggio a Roma e a Torino.
Ecco perché se il movimento di Grillo conquisterà Roma (per non dire Torino, già sorprendentemente contesa a una sinistra che la governa da un ventennio, e neppure tanto male), il resto del mondo vedrà solo questo: il rebus della politica italiana non è risolto, e il puzzle della instabilità mondiale si arricchisce di un nuovo pezzo. Giovedì si vota sulla Brexit, a novembre sulla Casa Bianca, a primavera per l’Eliseo e qualche mese dopo a Berlino. Tutti vogliono sapere se insieme a Donald Trump, Boris Johnson, Marine Le Pen, al prossimo G8 potrà sedersi un emissario di Beppe Grillo.
Vediamolo allora questo tripolarismo italiano. Bisognerebbe cominciare dal centrosinistra. Solo che il centrosinistra, di fatto, non esiste più. Al suo posto c’è il Pd, aspirante partito pigliatutto. La volta scorsa fu l’apoteosi della coalizione, che vinse a Milano, Torino, Cagliari, e poi a Roma, spesso con candidati non espressi dal Pd. Perfino a Napoli il successo di de Magistris fu ascritto al campo del centrosinistra. Ora la sinistra-sinistra se n’è andata per conto suo, incattivita e autolesionista come nei peggiori momenti della sua storia, i centristi se ne stanno da soli un po’ qua e un po’ là, e l’elettorato di centrodestra, che doveva essere il Santo Graal del nuovo Pd renziano o della nazione che dir si voglia, non arriva. Per questo la vera e propria prova del fuoco del Pd stasera è a Milano. È ambrosiano il modello del nuovo centrosinistra 2.0 che Renzi propone al Paese: partito del fare, sindaco manager, sfondamento tra i moderati, senza perdere le alleanze a sinistra. Se Sala vince a Milano, il premier la sfanga. Se vince Parisi, l’intero suo progetto politico verrà messo sotto accusa, innanzitutto nel Pd.
Neanche il centrodestra esiste più, ma al suo posto non c’è un partito, bensì due o tre, molti leader e molto caos. Ciò che sorprende è che esista ancora il suo elettorato. E anzi, dovunque trova un candidato decente, e possibilmente non iscritto a nessuno dei partiti in lizza, rischia anche di vincere (da seguire stasera, oltre che Milano, il risultato di Trieste, ma anche Grosseto, Brindisi, Isernia, Latina...). Di questa area Berlusconi non è più né l’alfa né l’omega, ma contro di lui non può nascere niente di vincente. Salvini sembra averlo capito: la sua sfida per la premiership, prendere un voto in più di Forza Italia, è uscita sconfitta dalle urne. E perfino se stasera vincesse nella sua Milano, avrebbe vinto Parisi, un tipo che di leghista non ha nulla. Il vecchio cuore del Popolo della libertà batte ancora, ma ha urgente bisogno di valvole nuove. Come abbiamo visto, è un’operazione possibile.
Apparentemente i Cinquestelle hanno poco da perdere, e dunque tutto da guadagnare. Roma da sola sarebbe già un premio storico (ma anche la prima vera prova concreta di governo, con l’obbligo di non fallire). Eppure in questi ballottaggi i grillini si stanno giocando qualcosa di molto più grosso: devono dimostrare che possono davvero raccogliere il voto di tutti gli anti renziani, di essere cioè i più trasversali tra gli oppositori del governo. Devono provare di saper attrarre al secondo turno il voto leghista e di destra del primo turno. Il terzo turno di questa partita si gioca infatti a ottobre. Solo se l’elettorato si convince che esiste un’alternativa a Renzi può davvero bocciare il suo referendum e mandarlo a casa. Se il «tutti contro Renzi» non riesce, i Cinquestelle restano grandi, ma restano anche soli, e dunque non abbastanza grandi da frequentare quel famoso G8.
Infine un’osservazione. Stasera una o più d’una delle quattro grandi città italiane potrebbe eleggere il suo sindaco con meno della metà dei votanti (come a Roma tre anni fa, e vedete che fine ha fatto Marino). In questo caso altri seri dubbi si addenserebbero sull’Italicum, il sistema elettorale che prevede di scegliere anche il premier con il ballottaggio. Mai in passato il capo del governo è stato espressione di una maggioranza della minoranza degli italiani. Speriamo che non accada neanche stasera per i sindaci.